Appunti di Retail Marketing: verso un commercio post-apocalittico

Appunti di Retail Marketing: verso un commercio post-apocalittico

Alberto Maestri Pubblicato il 2/10/2021

Retail: una parola tanto chiacchierata e ‘stiracchiata’ negli ultimi anni.

Prima le crisi economiche, poi i canali digitali, infine la pandemia che ha costretto a chiusure prolungate e soluzioni creative per continuare a dialogare con i clienti. Sembra sempre che per il retailing non ci sia scampo – o meglio: nuove e continue sfide sono sulla soglia, pronte a sfidare i Retail Manager ma anche i singoli commercianti al dettaglio.

Nonostate queste premesse il Retail alla fine resiste – ma deve trasformarsi. Nelle prossime righe esploro proprio questo, cercando di rispondere principalmente a due domande importanti per chiunque faccia business o gestisca / guidi un’attività commerciale basata su punti vendita fisici.

  • Quali sono le grandi sfide del Retail, oggi?
  • Quali linee guida possiamo trarre per lo sviluppo e la prosperità del Retail nei prossimi mesi?

Nel parlare genericamente di Retail farò mia la classificazione fatta da Enrico Verga in un articolo pubblicato sul Sole 24Ore.

Nel mondo retail che discuterò di seguito, quindi, includo tutte le realtà della grande distribuzione organizzata (GDO), spesso inglobata (fisicamente parlando) in centri commerciali, a cui si aggiungono gli outlet di moda, le singole catene di negozi/brand (moda e lusso) e i singoli negozianti indipendenti (di solito associati a Confcommercio, per esempio).

L’estinzione del retail: esiste davvero?

Retail e distribuzione sono una delle grandi anime del commercio, e di conseguenza dell’economia. Dunque, siamo chiari: frasi come “il Retail è morto”, o anche solo “c’era una volta il Retail” che più o meno abbiamo sentito tutti sospirare da qualcuno, sono false. Lo ripeto: il Retail si ripensa, rivaluta i propri modi di entrare e rimanere in contatto con il cliente, riprogetta la propria comunicazione, ma non sparisce.

Gli americani, sempre capaci di etichettare e dare forma con le parole ai fenomeni in atto, l’hanno chiamata Retail Apocalypse: dal 2010 ad oggi, solo negli Stati Uniti hanno chiuso più di 12.000 negozi; il caso più grave è avvenuto nel 2018 con la bancarotta di Toys’R’Us, un importante brand di giocattoli conosciuto in tutto il mondo e capace di fare sognare milioni di piccoli clienti.

Immagini di repertorio di uno degli store di Toys’r Us.

La colpa è dei prodotti, immagino penserai a proposito di Toys’R’Us: in effetti, con i bimbi oggi incollati allo smartphone 24/7 a partire dai primi mesi di vita, chi si cura più dei giocattoli?

Facciamo allora un balzo temporalmente breve – 2 anni – ma piuttosto azzardato per settore, e passiamo alla relazione del primo trimestre 2020 stilata da Inditex, il Gruppo di Zara cui fanno anche capo i marchi Pull&Bear, Stradivarius, Bershka, Oysho, Zara Home, Massimo Dutti e Uterque. Un brand entrato con forza nelle nostre vite e nel quotidiano in ognuno di noi, capace di partire con prezzi aggressivi cavalcando l’onda del fast fashion per arrivare a proporre prodotti costosi, all’interno di negozi che il più delle volte poco hanno da invidiare alle boutique delle aziende fashion più esclusive.

Ecco: proprio nel primo trimestre 2020 (dunque, non possiamo nemmeno dare la colpa esclusivamente alla pandemia), il Gruppo ha comunicato la chiusura di 1.200 negozi fisici. Si tratta di crisi? Probabilmente, da un lato ormai le camicie Zara in casa non sappiamo più dove metterle, e l’effetto sbornia si sta facendo sentire. Dall’altro, l’annuncio Inditex comunica di stare orientando la strategia aziendale verso due direttrici commerciali e di marketing:

  • apertura di nuovi punti vendita (circa 450 nei prossimi mesi) molto diversi da quelli chiusi. Più spaziosi, più esperienziali, omni-canale, in linea con i grandi e iconici flagship store presenti nelle grandi capitali mondiali.
  • forte focus sul digitale, portando l’ecommerce a incidere su un quarto delle vendite entro il 2022 (oggi influisce su circa un settimo del fatturato).

L’impatto della pandemia sul Retail

A proposito di digitale, il Coronavirus tra le mille difficoltà che ci ha creato ha costituito un acceleratore formidabile degli acquisti online. Con picchi di uso dell’ecommerce anche del 350%, e con il 75% delle persone che lo hanno utilizzato durante il lockdown che non lo avevano mai fatto prima. Tanto che gli analisti si dividono: chi dice che la pandemia ha accelerato il nostro mindset digitale di 5 anni, chi addirittura di 10. In tutti i modi, si è trattato di un salto quantico – e chi si ferma è perduto.

Insomma: il digitale è qui per rimanere ed è una potente leva di business (Gruppo Inditex insegna) ma anche di comunicazione. Per esempio, ti sei mai chiesto come poterlo integrare alla prossima fiera a cui parteciperai?

Secondo le analisi sulla popolazione statunitense della società di consulenza McKinsey, oltre alla centralità del digitale, sarebbero altre 4 le abitudini che la pandemia ci ha consolidato in mente, e che difficilmente (o meglio, a breve) riusciremo a toglierci come consumatori.

  1. Focus sull’essenziale: preferiamo e preferiremo ancora per un po’ uno shopping che punta all’essenziale. Ragionato, preciso, necessario, senza fronzoli, dritto al punto.
  2. Diminuzione della fidelizzazione verso una singola azienda o un solo brand: proprio il digitale ci spinge a provare sempre soluzioni e prodotti nuovi, senza mai essere soddisfatti.
  3. Importanza delle misure protettive: quando i clienti decidono di andare in negozio, la prima cosa che notano è se questo è dotato delle misure protettive adeguate a contenere la pandemia e tutelare la salute.
  4. Riscoperta dell’economia casalinga: tante attività fuori casa che facevamo prima – pensa alla palestra o alle tante cene al ristorante – le abbiamo riportate tra le mura domestiche, trovando soluzioni alternative alla necessità di uscire.

Insomma: Covid-19 ci ha cambiati, e per un po’ rimarremo così.

“Chi ha messo le birre di fianco ai pannolini?”

“Chi ha messo le birre di fianco ai pannolini?” Se lo chiede Michela Danieli nell’articolo pubblicato sulla rivista di management Senza Filtro Uomini e algoritmi alle prese con i consumi: chi comanda chi?, citando un caso tipico di selezione di posizionamento di prodotti all’interno di un supermarket qualsiasi. Perché, quindi, birre e pannolini sono spesso posizionate a fianco?

Il marito, mandato dalla moglie ad acquistare i pannolini per il figlioletto, non potrà non notare le birre lì vicino; ricordarsi dell’atteso evento che vuole vedersi in tv; comprare la birra che non aveva affatto previsto di comprare.

La disposizione delle merci sugli scaffali da anni è seguita da studi attenti e approfonditi che si sono accentuati ulteriormente negli anni, con l’avanzata delle tecnologie e di algoritmi che hanno ridotto i tempi delle ricerche di mercato, favorendo un’efficiente rotazione dei prodotti sugli scaffali e la costruzione delle corsie con un approccio contestuale.

Il cliente ci passa in mezzo e trova i prodotti disposti secondo una logica di attinenza e comodità mentale.

Quali variabili sono prese in considerazione da algoritmi e intelligenze artificiali applicati al Retail Design?

Massimo Cesaretti, esperto in marketing e ricerche di mercato intervistato da Michela Danieli, ne cita alcune.

  • Razionalità del consumatore. Solo il 40% degli acquirenti, per dirne uno, entra con la lista della spesa. Chi non ce l’ha è più influenzabile.
  • Decision maker  e gate-keeper della spesa. C’è un numero crescente delle donne che lavorano, e quindi molti più uomini in negozio.
  • Invecchiamento della popolazione, un fenomeno che interessa da vicino l’Italia.
  • Storico degli acquisti tracciato dalla carta fedeltà, che permette di analizzare attraverso gli algoritmi tutto il carrello della spesa e, tracciando codice per codice, di storicizzare i dati.

Quello che impressiona, è che il sistema migliora per ogni azione che compiamo. Basta un like a un’immagine, un voto, una ricerca, un movimento, e la macchina impara. Diventando capace non solo di risolvere un nostro bisogno (feedback), ma addirittura e sempre più di anticiparlo (feed-forward). Un esempio su tutti è l’anticipatory shopping di Amazon: grazie all’enorme quantità di dati che noi lasciamo o che vengono raccolti durante i nostri acquisti, il gigante dell’ecommerce sa ormai chiaramente non solo cosa ci piace, ma anche quando verosimilmente lo terminiamo. Questo perché, per esempio, ogni 27 giorni acquistiamo il pacco da 30 di cialde per il caffè. Amazon sta dunque testando un servizio proattivo, che invia a casa i prodotti ancora prima che ci accorgiamo del fatto che potrebbero servirci perché stanno terminando in dispensa.

Magari, grazie a un drone?

Amazon Prime Air. Immagine di proprietà dI Amazon.

Verso il New Retail Normal

Se all’inizio di questa riflessione avevi dei dubbi sul futuro del commercio, immagino che ora tu ne abbia il doppio. E però, insieme ai dubbi, magari anche qualche illuminazione o suggestione.

Proprio per cercare di ampliare l’area delle opportunità limitando quella delle paure, ti lascio con cinque linee guida e caldi consigli per progettare il Retail a prova di immediato futuro.

  • Abbraccia il digitale, ma in modo equilibrato: ormai non parliamo più di una semplice moda ma di uno strumento essenziale per la maggior parte dei clienti. Non è necessario diventare un Digital Retailer a tutto tondo: basta anche solo WhatsApp for Business, oppure la possibilità di pagare con Satispay, per andare incontro alle persone che entrano in negozio. Considera anche il contrario, però: pensare omni-canale – lo dice il nome! – significa dare la giusta rilevanza e il peso corretto a tutti i canali. Non solo a quelli digitali o digitalizzati. Digitale sì, ma nel modo giusto.
  • Sii trasparente, sempre e comunque: il digitale e la nuova razionalità dei clienti, che non sono spariti ma che comunque preferiscono stare sul divano rispetto a venire in negozio, forzano tutti a una grande operazione di trasparenza. Comunica chiaramente i prezzi, offri le migliori offerte sul tuo sito web e sii cortese nelle interazioni. Il comparatore di prezzi è a pochi centimetri di distanza, e se non sarai tu a servire la persona sarà certamente un tuo concorrente. In poche parole, l’atteggiamento prendi i soldi e scappa tipico di un mondo abbondante, oggi non regge più.
  • Ripensa (o costruisci da zero) la tua marca. Tutta questa abbondanza di offerte e proposte, potrebbe avere un effetto paradossale e contrario sul cliente. Ovvero ‘chiuderlo a riccio’, fargli porre un maggior focus su di te per eliminare il rumore causato dai concorrenti e dalle tantissime promozioni a disposizione. Insomma, è ora di tornare a ripensare al tuo brand, oppure a costruirlo ex novo se non lo hai mai fatto. Non servono grandi investimenti, basta un’idea. Come quella che hanno avuto i dirigenti Esselunga dopo un viaggio in Cina, immaginando una borsa gialla. Qui trovi il resoconto fatto direttamente da Giuseppe Caprotti. Magari a qualcuno non piace, ma non possiamo non farci caso quando la vediamo, ricordando immediatamente il brand. Ce ne sono di più belle per qualità, grafica e resa finale, ma la borsa dell’Esselunga rimane iconica in qualsiasi situazione e resistente a qualsiasi innovazione.
Le iconiche borse della catena di supermercati italiana Esselunga. Immagine di proprietà di Esselunga.
  • Sii empatico e vicino, anche nella distanza. Abbiamo anche ben compreso come empatia e vicinanza non devono per forza essere legate alla prossimità geografica – tutt’altro. Molto spesso, basta una buona comunicazione o un servizio semplice ma ben costruito per fare sentire l’amore al cliente. Non ci credi? Pensa alle Safe Order Masks di Burger King. La nascita dell’idea è stata immediata e a costo praticamente zero, se non consideriamo lo sforzo logico per pensarla: essendo la conversazione uno dei modi più rischiosi per trasmettere il virus e allo stesso tempo la mascherina uno strumento molto scomodo per farsi capire, perché non lasciare che i clienti potessero scrivere su apposite mascherine le loro domande o addirittura i loro ordini, così da non dovere proferire parola (ovvero, rischiare di propagare il virus) al personale? Non so se il risultato si sia rivelato comodo ed efficace per i colleghi che accettano gli ordini alla finestra del drive-thru, ma certamente è diventato un fantastico caso di comunicazione.
Safe Order Masks di Burger King. Immagini di proprietà di Burger Kings.
  • Lasciati ispirare. Come ultimo consiglio, prendo in prestito il bel nome della sezione del blog Pixartprinting che ospita i miei ragionamenti sul marketing, la comunicazione e la pubblicità e lo trasformo in un consiglio. Non accontentarti di ciò che vedi, ma stai all’erta su quello che accade anche molto lontano: potrebbe in poco tempo avvicinarsi e diventare molto rilevante. Ho citato prima Amazon, ecco: già tenere d’occhio i movimenti di questa azienda, per chiunque di noi (indipendentemente dal nostro lavoro, e dalle dimensioni della nostra azienda) può essere utile. Perché Amazon non è solo un’azienda, ma un racconto dell’immediato futuro che ci aspetta. Ti consiglio la rubrica LinkedIn #AmazonToDoList, dove l’amico Alessandro Giaume spiega a tutti e con un linguaggio ideale anche per non esperti su cosa sta lavorando questo colosso dell’e-Retail.