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Fin dall’invenzione della stampa, l’inchiostro ne ha accompagnato passo dopo passo la storia… standosene spesso un po’ in disparte. Ma questa sostanza più o meno viscosa è in realtà fondamentale per le tecniche di stampa e per la perfetta riproduzione di immagini e testi su un foglio.
Oggi cerchiamo di rendere merito all’inchiostro e alla sua storia raccontando tre curiosità su questo importante protagonista del mondo della stampa.
L’inchiostro utilizzato da Gutenberg
Un esempio? Quando a metà del Quattrocento Gutenberg porta in Europa l’invenzione cinese della stampa a caratteri mobili, migliorandola, inizia a utilizzare degli inchiostri a base olio invece degli inchiostri a base acqua comunemente usati fino a quel momento. Anche questo accorgimento decreta il successo della sua invenzione: l’inchiostro a base olio risultò infatti molto più efficace per inchiostrare i caratteri mobili in metallo.
Anche le invenzioni che portarono alla stampa industriale in offset si basarono proprio su una caratteristica fisica e chimica dell’inchiostro: la repulsione tra le sostanze grasse in esso contenute e l’acqua. Nella stampa offset (che insieme alla stampa digitale è una delle principali metodologie di stampa a livello industriale) si sfrutta questa peculiarità per ottenere prodotti estremamente ben definiti: le parti matrice in alluminio che non devono essere inchiostrate vengono continuamente bagnate con acqua, in questo modo l’inchiostro può depositarsi con assoluta precisione solo nelle zone che contengono i grafismi ovvero l’immagine da stampare.
L’inchiostro colorato giunge molto molto tardi tra gli stampatori
In realtà la prima tecnologia che rese possibile stampare il colore comparve all’inizio dell’Ottocento: la litografia. Questa è una tecnica di stampa indiretta che permette di trasferire l’immagine da una matrice fatta in pietra, su un foglio. In alcuni casi diverse matrici venivano inchiostrate con tinte colorate e erano successivamente impresse sullo stesso foglio: questo rese possibile l’aggiunta delle prime sfumature di colore alla stampa. Ma solo con l’avvento della zincografia – che sostituiva alla matrice di pietra una più pratica in zinco incisa chimicamente – si ha un vero e proprio sviluppo della stampa a colori.
Dove non arriva la quadricromia…
L’obiettivo della stampa a colori è quello di poter riportare su un foglio qualsiasi colore noi percepiamo con i nostri occhi (il cosiddetto spettro visibile). Può sembrare strano per un non addetto ai lavori, ma ad oggi il metodo industriale più comune per la stampa dei colori — la stampa in quadricromia — riesce a riprodurre meno del 70% dei colori che vediamo!
La stampa in quadricromia sfrutta la sovrapposizione di quattro pigmenti per creare la maggior quantità possibile di colori: ciano, magenta, giallo e nero (dalle iniziali inglesi deriva il famoso acronimo CMYK – dove la K sta per Key, un temine tecnico per indicare il nero).
Il fatto che con solo 4 pigmenti di base si possano realizzare così tanti colori è estremamente vantaggioso economicamente. Proprio per questo ad oggi questa è la tecnica più diffusa per la stampa a colori. Ma come abbiamo detto: non tutti i colori possono essere stampati in quadricromia! Per questo ogni tanto si utilizzano anche altre soluzioni, come l’esacromia o la stampa a 8 colori, in cui si aggiungono colori per aumentare lo spettro riprodotto, soprattutto per quanto riguarda la brillantezza dei colori e aumentarne il realismo.
Aziende come la famosa Pantone invece realizzano le cosiddette tinte piatte: sono colori creati ad hoc e non stampabili in quadricromia. Proprio la Pantone ha nel suo catalogo 1114 colori realizzati mescolando 13 pigmenti diversi (più il nero).
Va da sé però che stampare i colori Pantone risulti molto più costoso rispetto a una stampa in quadricromia: le tipografie infatti devono ordinare appositamente le tinte piatte e tenerle in magazzino!