Lo “stile” nella comunicazione d’impresa: scopriamolo

Lo “stile” nella comunicazione d’impresa: scopriamolo

Diego Fontana Pubblicato il 3/2/2020

Stile e tono di voce, amici nemici

Stile e tono di voce sono due concetti spesso fraintesi.

Nell’universo di chi si occupa di comunicazione e crea contenuti per il marketing, i malintesi sono generalmente due:

1. Stile e tono di voce vengono considerati perfetti sinonimi

2. Stile e tono di voce vengono rigidamente separati: lo stile è visto come un’insieme di scelte visive, mentre il tono di voce riguarderebbe esclusivamente la componente verbale del messaggio

Ognuna di queste due posizioni contiene una parte di verità, ma nessuna delle due è del tutto esatta. E soprattutto, fino a quando pensiamo allo stile e al tono di voce in questi termini, non troviamo in queste definizioni un grande aiuto pratico che ci possa soccorrere mentre ci occupiamo di creare comunicazione.

Proviamo a fare un po’ di chiarezza?

Lo stile è come appari. Il tono di voce è come sei

Il modo più corretto, fertile e produttivo per approcciare la coppia stile/tono di voce potrebbe essere quello di ripartire dalla distinzione più accademica, che non riguarda esclusivamente il mondo della comunicazione.

Cos’è lo stile?

Lo stile è un insieme di elementi formali (convenzioni) che caratterizzano un genere: architettonico, pittorico, letterario, registico. Esiste per esempio uno stile thriller, caratterizzato da un certo utilizzo del cosiddetto “colpo di scena”, della musica, delle luci, del montaggio; ed esiste lo stile dorico nella grecità classica, con caratteristiche formali ben distinte da quello ionico e da quello corinzio. Esistono, nella letteratura, lo stile minimalista, lo stile epico, lo stile fantasy e così via.

Cos’è il tono di voce?

Il tono di voce è il modo in cui un autore interpreta personalmente le convezioni stilistiche, attraverso le sue capacità espressive. Proprio per questo ha più a che vedere con la sfera delle emozioni, che con quella delle convenzioni formali.

Aiutandoci con una metafora, possiamo anche dire così: lo stile è l’abito che scelgo di indossare (elegante, casual, sportivo), mentre il tono di voce è il modo in cui porto quell’abito (con serietà, con disinvoltura, con ironia, sdrammatizzandolo o dandomi importanza).

Lo stile, nella comunicazione d’impresa

Se è vero che nello scenario contemporaneo i marchi assomigliano sempre più a persone, allora possiamo applicare i principi sopra descritti anche al mondo della comunicazione aziendale. Che cosa possiamo dire, dunque, dello stile e del tono di voce, relativamente all’universo dei brand e delle piccole o medie imprese?

Cos’è lo stile di un brand?

Lo stile di un brand è il complesso di segni (visivi ma anche verbali) di cui si dota per comunicare un’immagine di sé sul mercato.

Cos’è il tono di voce di un brand?

Il tono di voce di un brand è il complesso di emozioni che trasmetterà, rimanendo all’interno delle proprie scelte stilistiche.

Qualche esempio di “stile” nella comunicazione

Nel mondo del giornalismo

Ogni testata giornalistica si dota di una differente guida di stile, dove sono descritte le scelte lessicali entro cui i giornalisti dovrebbero orientare la propria scrittura. Il diverso stile di ogni testata, alla lunga, contribuisce a generare un’immagine chiara e coerente, che i lettori riconosceranno come unica e distintiva. Per esempio, quella dell’Economist potrebbe essere: prediligere frasi e parole brevi, limitare le subordinate, scegliere parole concrete ogni volta che è possibile e altro ancora. Ma allora – viene da chiedersi – i giornalisti che scrivono per una testata, scrivono tutti allo stesso modo? No, certo. Ognuno di loro si muove all’interno delle convezioni stilistiche richieste dalla linea editoriale in base al proprio tono di voce, vale a dire al modo che gli viene più congeniale, che sente proprio, che gli addice di più. Anche per questa ragione ad alcuni di loro viene più semplice occuparsi di un certo argomento, ad altri di tematiche del tutto diverse.

Nel mondo del fumetto

Consideriamo per esempio Dylan Dog. La casa editrice Bonelli avrà stabilito, come per ogni altra pubblicazione, una guida stilistica relativa al personaggio. Dylan Dog, per essere riconosciuto come tale dai lettori, dovrà presentare sempre determinate caratteristiche nel disegno: i tratti del viso, ma anche l’abito, un certo tipo di gesti (le mani giunte quando pensa sono uno dei suoi segni distintivi), una serie di atmosfere prevalenti e altro ancora. Tutto questo è lo stile Dylan Dog.

Eppure il Dylan Dog di un certo autore è al contempo differente e identico da quello di un altro.

La copertina di Dylan Dog. Fumetto edito in Italia da Panini.
La copertina di Dylan Dog. Fumetto edito in Italia da Sergio Bonelli Editore

Perché il tono di voce per esempio di Corrado Roi non è quello di altri disegnatori. E perché certe volte Dylan Dog è disegnato da Roi, certe altre da un altro autore? La scelta è del tutto casuale? No, naturalmente. Chi dirige la collana sceglierà, in base alle caratteristiche di una storia (e dunque al tipo di sensazioni ed emozioni da trasmettere), questo o quell’altro disegnatore: si va cioè a selezionare il professionista che ha maggiormente nelle proprie corde il tono di voce più adeguato.

Nel mondo del branding

Dal momento che molti brand scelgono uno stile istituzionale, per trasmettere un’immagine di sé, possiamo prenderlo come caso da esaminare insieme. Da cosa è caratterizzato – a grandi linee – questo stile, volto a trasmettere un’immagine di sicurezza, serietà, autorevolezza?

• Impiego di colori come il blu e il grigio.
• Immagini fotografiche con presenza umana
• Frasi brevi e assertive
• Caratteri tipografici certamente non troppo arzigogolati
• Pulizia ed essenzialità grafiche, visive e verbali

All’intero di questo grande insieme, che abbiamo rapidamente circoscritto per fornire un’idea apprezzabile di “stile istituzionale”, si collocano molti brand. Ma ognuno di loro indossa – per così dire – il vestito di questo stile, con un tono di voce unico e differente:

Spot Barilla

Barilla si colloca certamente all’interno di una comunicazione istituzionale. E all’interno di questo universo ha storicamente prediletto toni di voce che toccano corde molto umane, ricorrendo a sentimenti come la nostalgia, il senso della famiglia, l’amore tra padre e figlia, piccoli gesti di cura e attenzione quotidiana.

Spot Mastercard

Mastercard può certamente essere annoverata, a livello stilistico, tra i brand che trasmettono un’immagine istituzionale di sé. Ma nel contesto di questa grammatica, predilige un tono di voce molto differente rispetto a quello di Barilla. Nei contenuti di questa marca trova posto una certa ironia, misurata ma complice e persino un tantino irriverente, che per anni è stata la cifra con cui raccontarsi a un pubblico indipendente, cosmopolita, sicuro di sé, molto lontano dalla famiglia Barilla.

Spot Deutsche Bank

Un ultimo confronto si può fare per esempio con Deutsche Bank. Qui allo stile istituzionale abbiniamo un tono di voce molto serio, poco incline sia a certi sentimentalismi, sia a un approccio ironico. Il rigore che questa Banca vuole trasmettere è comunicato facendo ricorso a emozioni come la fiducia, la sicurezza, l’assertività.

Occhio allo stile, anche sul web

Proprio come avviene per le altre forme di espressione, anche all’interno del branding, della comunicazione pubblicitaria, della produzione di cataloghi e brochure, della realizzazione di contenuti digitali, lo stile e il tono di voce di un brand li rendono distintivi, unici, riconoscibili a lungo andare rispetto a tutti gli altri. A conclusione di questo articolo vale quindi forse la pena di fare il punto su di un concetto: in questi ultimi anni è accaduto spesso che nuove piattaforme digitali imponessero, senza che ce ne rendessimo del tutto conto, un certo stile per così dire intrinseco. Un certo McLuhan, del resto, ci avvertì molti anni fa circa il fatto che il medium tende a plasmare il messaggio.

Lo “stile blog”? Va bene, ma occhio a non smarrire la personalità del brand

Ed ecco che, via via, sembra sedimentarsi sulle piattaforme di scrittura online una sorta di “stile-blog”, nato per rispettare i crismi della Seo e della lettura su monitor, che tende a stancare gli occhi e a non essere mai del tutto lineare. Gli articoli presentano caratteristiche formali molti simili e poco differenziate: frasi e paragrafi brevi senza subordinate, elenchi puntati e numerati, capitoletti spezzati e introdotti da titoli, il tu al lettore. Certo, queste convenzioni aiutano a far sì che i contenuti siano letti più facilmente sia dai motori di ricerca, sia ovviamente dal pubblico. Eppure il rischio innegabile è che non riescano a trasferire la personalità del brand, al quale invece dovrebbero portare valore.

L’impegno di un content editor o di un copywriter dovrebbe essere quello di mediare tra lo stile del brand e gli accorgimenti formali richiesti dalla scrittura digitale. Perché senza una stile riconoscibile, nessun marchio è riconoscibile.