La Scuola Polacca del Manifesto

La Scuola Polacca del Manifesto

Eugenia Luchetta Pubblicato il 3/15/2021

Nel secondo dopoguerra c’è stato un momento nella storia della Polonia in cui i muri di Varsavia e di altre grandi città erano tappezzati di manifesti, affissi per comunicare ogni tipo di evento e di pensiero. Mentre altrove la diffusione del manifesto stava tramontando, in Polonia diventava il mezzo di comunicazione principale, e rifioriva un’arte nuova che, al ricordo delle macerie, contrapponeva un mondo di colori vivaci e forme semplici, spesso caratterizzate da una tratto immediato e dalla tecnica del collage. Questo fenomeno artistico prende il nome di “Scuola Polacca del Manifesto”.

Non si è mai trattato di una vera e propria scuola, mai è esistito un programma, né tanto meno c’è stata un’omogeneità di stili, ma si è verificato tutto un complesso di circostanze politiche, economiche e sociali che, unite alla grande sensibilità artistica dei grafici vissuti in questo periodo, ha dato vita ad una produzione unica nella storia del design.

Varsavia. Fotografia di Zbyszko Siemaszko, anni ’60. https://culture.pl/en/article/the-dream-warsaw-of-the-50s-and-60s

Tra le due guerre 1900–1939

Il manifesto da tempo accompagnava gli avvenimenti della Polonia.

Nei primi decenni del Novecento, al pari di molte altre nazioni europee, c’era gran fermento intorno ai nuovi movimenti artistici e di design che stavano nascendo. Grazie quindi alla sua posizione geografica, la grafica polacca subisce l’influenza delle avanguardie del centro Europa da una parte e quelle russe dall’altra, ma al tempo stesso vuole reclamare anche la propria individualità.

Per quanto riguarda nello specifico l’arte del manifesto, sebbene ci siano artisti di spicco, quali Tadeusz Trepkowski e Tadeusz Gronowski, in generale si può affermare che le influenze maggiori siano dovute all’Espressionismo, Costruttivismo e Art Deco.

Copertina del primo numero della rivista “Blok”, gruppo d’avanguardia polacco. Progetto di Henryk Stażewski, Varsavia, 1924. Muzeum Sztuki in Łódź.

Il dopoguerra 1945–1980

La Polonia subisce pesanti perdite durante la seconda guerra mondiale e danni catastrofici alle infrastrutture, all’agricoltura e all’industria.

In Polonia la guerra rappresenta una cesura per le arti grafiche e la stampa, come per molte altre discipline. La scarsa e rudimentale, seppure ingegnosa, produzione grafica di questi anni, viene quasi interamente persa a seguito della rivolta di Varsavia.

Dal conflitto, la Polonia “riemerge” in una società comunista: il committente non è più il privato, ma lo Stato. Come per ogni settore, viene creato un sindacato, che unisce grafici ad artisti, scrittori e registi. È il sindacato a definire standard e costi, nonché criteri per poter farne parte.

La prima produzione grafica richiesta dopo la guerra è un’aggressiva propaganda politica. In questo contesto emerge Tadeusz Trepkowski (1919–54), che al realismo socialista, modellato sulla propaganda sovietica, contrappone manifesti caratterizzati da uno stile simbolico e metaforico e un approccio riduzionista, che mira alla forma più semplice e di impatto.

Tadeusz Trepkowski, Nie! (No!), 1952

Trepkowski scompare prematuramente, ma il suo approccio viene condiviso e portato avanti da altri designer, tra cui Henryk Tomaszewski (1914–2005), considerato il padre della Scuola Polacca del Manifesto, sia grazie alla sua eccellente produzione grafica, ma anche grazie al ruolo di educatore che riviste all’Accademia di Belle Arti di Varsavia, dove forma generazioni di grafici a venire.

Henryk Tomaszewski, Moore. Mostra di sculture di Henry Moore, per il Centralne Biuro Wystaw Artystycznych, 1959.

Le prime locandine cinematografiche dopo la guerra presentano lo stesso stile degli anni ’30, senza innovazioni. Le cose però cambiano nel 1946 quando Film Polski, l’organizzazione statale preposta alla distribuzione e promozione dei film, si rivolge a un gruppo di grafici tra cui Tomaszewski per la realizzazione di manifesti di alcuni film. Questi decidono di non sottostare alle richieste della committenza, ma anzi di imporre il loro gusto e la loro competenza. Sebbene il loro stile non venga gradito, riescono comunque a convincere gli organi dello Stato grazie alle loro motivazioni ideologiche. L’uso di mezzi commerciali per attrarre lo spettatore non era infatti necessario, in quanto contrario ai principi di una società comunista. Seguono manifesti per eventi culturali, per il circo, il teatro e per eventi politici, oltre che per il cinema, in cui emerge con sempre più forza un nuovo linguaggio visivo.

Henryk Tomaszewski, Storia. Witold Gombrowicz, per il Nuovo Teatro a Varsavia, 1959.
Henryk Tomaszewski, Jazz Jamboree 71, per Jazz Jamboree 1971.

Infatti, mentre nel mondo occidentale, dominato dall’economia del libero mercato, si sviluppava l’industria della pubblicità per come la conosciamo oggi, e i manifesti venivano realizzati seguendo standard e convenzioni in modo da sedurre e vendere ad un pubblico sempre maggiore, in Polonia si verificava una tendenza totalmente opposta. Alla produzione grafica è consentita una grandissima libertà artistica, che dà vita a manifesti unici, colorati e vivaci nelle forme, sofisticati e allusivi nella scelta dei contenuti.

Il manifesto per il film “Madame Sans Gêne” in Francia e in Polonia, a confronto.

Negli anni ’50 i poster polacchi iniziano a venir notati e a ricevere successo anche all’estero, dove vengono accolti come una ventata d’aria fresca. L’apprezzamento oltre confine si rivela un’ottima propaganda per la Polonia, nasce dunque nel 1966 la Biennale Internazionale del Manifesto di Varsavia e viene istituito il Museo del Manifesto a Wilanów, vicino a Varsavia.

Henryk Tomaszewski, Cyrk, per il Circo nazionale, 1963

Lo stile di Tomaszewski, che unisce folklore ad una sensibilità artistica sofisticata, e si esprime tramite ritagli di carta, collage, stampa serigrafica, tratti e scritte a pennello, diventa in un certo senso identificativo della produzione del periodo. In realtà, seppure accomunati dalle stesse radici culturali e dal contesto sociale, emergono grafici con stili individuali molto vari. Nella generazione successiva si distinguono artisti come Jan Lenica, Wojciech Fangor, Roman Cieślewicz, Jan Młodożeniec, Waldemar Świerzy, Wiktor Górka e Franciszek Starowieyski, in prima linea nella progettazione di manifesti di altissima qualità.

Jan Lenica, Wozzeck (Manifesto per la produzione varsava dell’opera del 1914–22 di Alban Berg), 1964.
Roman Cieślewicz, Zawrót głowy (Vertigo), per Film Polski, 1963.
Waldemar Świerzy, Nocny Kowboj, per Film Polski, 1973.
Jerzy Flisak, Gang Olsena na torach (The Olsen Gang on the Track), per Film Polski, 1976.

Da Solidarność ad una società capitalista 1980–2020

Il 1980 è un anno tumultuoso per la Polonia. Gli scioperi dei lavoratori a Danzica portano alla formazione del movimento Solidarność, che arriverà a contare tra i suoi membri un terzo della popolazione polacca e si tramuterà in una rivoluzione politica. Il logo di Solidarność diventa un’icona internazionale e, ancora una volta, il manifesto riveste un ruolo fondamentale. Nel 1989, all’alba del voto che avrebbe svoltato le sorti della Polonia, i muri delle città sono affollati dall’immagine di Gary Cooper dal film “Mezzogiorno di fuoco”, che impugna una scheda elettorale e indossa il logo del movimento come stemma. Sotto le parole “Mezzogiorno di fuoco, 4 giugno, 1989”.

Thomas Sarnecki, “Solidarity Poster – “Mezzogiorno di fuoco, 4 Giugno 1989″,” Item #699, https://chnm.gmu.edu/1989/items/show/699

Oggi i manifesti polacchi del periodo d’oro sono conservati nei musei e sebbene la comunicazione visiva sia radicalmente cambiata, continuano ad essere un punto di riferimento per le nuove generazioni di designer in Polonia. È eccezionale che un’arte così vitale, raffinata e variegata sia emersa dalla devastazione della guerra. Quest’arte non si sviluppa malgrado la crisi, ma proprio grazie alla libertà creativa garantita dalla situazione di crisi, che consente a grafici eccellenti di esprimersi al meglio.