Sound branding: come progettare l’identità sonora del tuo brand oltre a quella visiva

Sound branding: come progettare l’identità sonora del tuo brand oltre a quella visiva

Alberto Maestri Pubblicato il 6/13/2025

Sound branding: come progettare l’identità sonora del tuo brand oltre a quella visiva

Negli ultimi anni, in ambito professionale ho assistito a un interesse crescente per i temi del sound branding e della sonic strategy.

Il sound branding, noto anche come audio branding, sottende la possibilità di rendere riconoscibile l’azienda attraverso il suono.

Esso rientra all’interno del paradigma più ampio della brand voice, ovvero del portfolio di modi, strumenti e leve che un’azienda ha per poter prendere la parola nei confronti delle audience.

Si tratta di un territorio nuovo per le aziende e le marche, che vale dunque la pena approfondire da vicino con cenni storici e curiosità, casi studio e buone pratiche per metterlo al servizio di chiunque avesse voglia di portarlo all’interno dei propri piani aziendali di comunicazione e marketing.

Perché il suono ha così effetto nel marketing?

Il perché del potere del suono nei processi di marketing e branding è abbastanza immediato da comprendere. In effetti, come esseri umani affidiamo la conoscenza della realtà circostante ai cinque sensi: ciò succede anche quando, in veste di clienti, interagiamo con un brand. 

  • Nel campo del branding di solito ci si concentra sugli attributi visivi di un prodotto, perché la vista è il senso più immediato da utilizzare.
  • Ma varie ricerche hanno dimostrato che il suono, essendo l’udito estremamente performante come senso umano, ha il potere di creare immagini visive e proiezioni automatiche

Più nello specifico, sono 3 i principali vantaggio dell’applicazione di asset sonori in dinamiche di comunicazione aziendale:

  • crea risposte emotive rapide e profonde;
  • attira e mantiene l’attenzione dei consumatori;
  • si distingue efficacemente in un mondo multi-screen.

Tanto per intenderci, se sentiamo un muggito penseremo a una mucca ancor prima di vederla.

Dal marchio parlante al sound branding. Una breve storia culturale

Arriva la radio. Suona la pubblicità

Le merci e le marche cominciarono a raccontarsi, nel momento in cui negli anni ’20 le prime avanguardie della classe media e le aristocrazie operaie allargarono il loro sguardo oltre la mera sussistenza e il consumo quasi esclusivo di beni di prima necessità. Ma soprattutto quando i media iniziarono ad andare oltre la parola scritta: la radio e poi anche l’introduzione del sonoro nella cinematografia davano voce alla réclame, come si diceva per tutto il periodo fra le due guerre mondiali.

L’uscita della pubblicità dalla dimensione quasi esclusiva della cartellonistica, dell’affiche e dell’annuncio sulla stampa coincideva con l’importanza crescente che veniva assumendo la parola

Era la radio che dava voce alla parola pubblicitaria, sottolineandone anche la funzione evocativa. Il valore e il piacere del testo comportavano la ricerca di una scrittura (pubblicitaria) di qualità, che suonasse bene. E di questa congiunzione la radio ne era la perfetta espressione.

Oggi ci fa sorridere rileggere alcuni degli annunci del periodo. Però sono prestigiosi i nomi di chi prestava alla pubblicità la propria ispirazione poetica o suggeriva nomi di prodotti e marchi che entrarono poi nella storia del costume e dei consumi nazionali. Per esempio, di Giacomo Puccini era l’ode dedicata al dentifricio italiano Odol…

Se la pubblicità sulla carta fissava il concetto, i radiocomunicati davano voce alle merci, animandole, facendole risuonare nella mente dei consumatori.

I contenuti sonori, voce e musica, offrivano un inedito e ottimale mix per lo sfruttamento pubblicitario.

  • I programmi radiofonici potevano essere sponsorizzati (i principali match di pugilato negli USA a partire da quello epico fra Jack Dempsey e Gene Tuney del 1927 avevano Gillette come sponsor);
  • i concerti erano perfetti per accompagnare il racconto merceologico, per dare alla marca un suono desiderabile.

Negli anni ‘20 ancora non si parlava di spot, però il tempo del jingle – il motivo musicale che accompagna, sottolinea o chiude un annuncio pubblicitario – scoccò immediato e inesorabile non appena la voce della merci si affacciò e si udì sulla scena radiofonica.
L’America di quegli anni era ancora il luogo elettivo dove i programmi cominciavano a essere punteggiati da annunci e commercial accompagnati da un tintinnio, cioè un breve motivo musicale, spesso unito a un breve testo rimato e facile da ricordare.

Il rapido successo del jingle era dovuto al fatto che inizialmente eludeva il divieto di pubblicità diretta che la principale catena di emittenti National Broadcasting Company cercava all’epoca di mantenere. Un jingle infatti facilitava il ricordo del nome di un marchio ai potenziali clienti, anche se non rientrava nella definizione di pubblicità accettata sempre alla fine degli anni ‘20.

Il suo rapido diffondersi e installarsi in modo stabile all’interno delle strategie di marca fu dovuto alla performance che questo nuovo tipo di pubblicità conobbe con i cereali Wheaties. Un prodotto rispetto a cui la General Mills aveva deciso di cessare la produzione, ma che grazie alla canzone Hai provato Wheaties? in onda nelle radio del Minnesota ebbe enorme successo. Tale da indurre l’azienda a mantenerne la produzione e a utilizzare la nuova tecnica per una campagna pubblicitaria nazionale, presto emulata dai competitor e dalle principali marche del largo consumo.

Ed ecco la televisione!

Facendo un balzo in avanti, con la TV ‘80 e ’90 (ormai pienamente avvolta nella dimensione commerciale) la musica da spot cambiò completamente registro. Non più solo musica composta appositamente per la pubblicità, bensì canzoni famose cantate da cantanti famosi alle quali le grandi marche ricorrevano sempre più spesso.
Apparve eccezionale la cessione da parte dei Rolling Stones della canzone Start me up a Microsoft, che la trasformò nella sigla di Windows ’95.

Web & social. Le nuove identità sonore della pubblicità

Da anni è ormai ampiamente acquisito che un annuncio commerciale radiofonico o uno spot devono risuonare con i toni e i decibel giusti; e che ogni marchio e prodotto debba avere un suono particolare, un motivo musicale ad hoc, una sigla esclusiva. 

Nell’epoca del mordi & fuggi, raggiungere i consumatori e farsi ricordare, imprimersi nella memoria e fissarsi nel ricordo non è la cosa più importante, ma la sola cosa che conti.

Questo contesto e queste caratteristiche hanno spinto e spingono a investire budget sempre più rilevanti per creare un’identità sonora coerente, effetti musicali di immediata riconoscibilità e distintività. Segnali audio che sono veri e propri marchi sonori. Negli annunci radiofonici o in quelli audio-video che viaggiano sulle piattaforme il suono del brand sottolinea e in certi casi quasi sostituisce l’immagine grafica. Il marchio sonoro infatti non mostra l’immagine del brand (logo e payoff), ma deve evocarne i valori, farne risuonare lo spirito.

Dal Brandscape, al Soundscape

Il Brandscape, ovvero il paesaggio entro cui viene fatta vivere e mostrata la marca, diventa Soundscape – la creazione di un paesaggio sonoro per generare esperienze uditive in grado di trasferire in modo coerente ed evocativo l’immagine del brand.

Esso è composto da una serie di touchpoint che elenco e descrivo brevemente di seguito.

Sound Logo / Trademark. Il principe di ogni asset sonoro. Il marchio sonoro è costituito da un motivo musicale, da un jingle o da un semplice suono, che viene abbinato a un logo aziendale, allo scopo di contraddistinguerlo e renderlo riconoscibile, grazie proprio alla sonorità specifica. Deve rendere in termini sonori le caratteristiche principali del brand.

Il sound logo di Intel, a detta di tante case di produzione ed esperti di sound branding, è il più memorabile di tutti. Creato dal musicista austriaco Walter Werzowa nel 1994, è il primo ad essere legalmente registrato come marchio sonoro. 

Una memorabile sequenza di cinque note che, secondo alcune stime, viene riprodotta da qualche parte nel mondo una volta ogni cinque minuti. 
Nato come parte della campagna Intel Inside, per il proprio audio logo Intel chiese a Werzowa di creare un suono che trasmettesse “affidabilità, innovazione e fiducia”. Il musicista trascorse 10 giorni a comporre la Intel Spiral (anche se sarà conosciuta come Intel Bong), utilizzando una combinazione di diversi sintetizzatori, xilofoni e marimbe. Anche se può sembrare un audio logo semplice, in realtà è composto da 20 diversi livelli audio.

Riuscendo a trovare il giusto equilibrio tra suoni computerizzati e suoni fisici, la composizione di Werzowa è unica e supera la sfida del tempo. Infatti il sound logo compare, leggermente modificato, anche nel rebranding globale presentato da Intel nel 2020, in una versione aggiornata e più ‘computerizzata’.

Event Sound. È la colonna sonora di un evento o manifestazione speciale, creata e selezionata appositamente per quella finalità. In questo modo il suono crea l’atmosfera che più si allinea ai valori della marca, toccando il partecipante nel profondo e conferendo all’evento una forte personalità. Eventi musicali basati su tecnologie immersive – come la realtà virtuale e la realtà estesa – offriranno esperienze audio-sonore coinvolgenti, ma anche interazioni inedite tra artisti e pubblico.

Ma per iniziare, è possibile intanto costruire una Branded Song – ovvero, una musica che riflette nella sua composizione i valori e il DNA dell’azienda. E possono farlo tutti, comprese le realtà di piccole e medie dimensioni: basta ascoltare questo risultato sviluppato per Molino Pasini (azienda specializzata nella produzione di farine di grano tenero di alta qualità) partendo dalle sonorità della farina.

Corporate Sound Room. Particolari spazi interni aziendali, come showroom e centri visitatori, che permettono di amplificare i sensi a partire dall’udito, facendo sì che il cliente sia totalmente immerso nell’esperienza sonora della marca.

Music Streaming Playlist. Selezione e gestione di playlist personalizzate e culturalmente rilevanti per brand attenti all’esperienza, comprese l’attivazione e il mantenimento delle pagine profilo aziendali, su tutte le piattaforme di streaming online. Tra queste, possiamo immaginare anche ambienti sonori dedicati ai momenti specifici – come quelli sportivi oppure a quando i nostri collaboratori devono concentrarsi negli ambienti di lavoro.

  • Sport & Workout Music. Musica creata o selezionata per migliorare le prestazioni fisiche durante un allenamento, riducendo il modo in cui il cervello elabora l’affaticamento e il dolore corporeo. Inoltre, attingendo in maniera diretta ai centri affettivi del cervello, rende l’esercizio più piacevole e spontaneo.
  • Workplace Music. Creazione di musica originale o playlist dedicate agli ambienti di lavoro, con l’intento di favorire la produttività, senza creare distrazione e rafforzando al contempo lo stile e lo spirito distintivo dell’azienda.

Rispetto al tema, pensiamo ai nuovi orizzonti che l’AI Generativa può aprire: Spotify sta per esempio lavorando ormai da mesi su vere e proprie AI Playlist, che gli utenti (e dunque anche i brand designer) possono sviluppare a partire da prompt secondo dinamiche text-to-music.

Product & UX Sound. Progettazione e design acustico di suoni ed effetti sulla base di una strategia user-centered, con l’obiettivo di facilitare e migliorare l’esperienza che l’utente ha di un prodotto, un’interfaccia o un qualsiasi device durante il suo utilizzo.

Web & Social Media Music. Musica e suoni in grado di aumentare il coinvolgimento e il livello esperienziale sui siti e i social media. Gli utenti sono più propensi a fare clic o a navigare su pagine, se accompagnati da musica accuratamente selezionata e in linea con le aspettative di marca. D’altra parte, secondo la ricerca sviluppata da Amp legata ai Best Sonic Brands, non sembra che questa evidenza riscontri un allineamento da parte delle aziende – che faticano ancora a identificare un fil rouge musicale consistente e univoco sui canali digital e social.

Music for AD TV / Radio. Musica e suoni in grado di aumentare il coinvolgimento e il livello esperienziale per spot tv e radiofonici. Il tutto perfettamente studiato e allineato con il sistema di identità sonora del brand.

Branded / Corporate Podcast. Contenuti podcast in grado di veicolare argomenti e informazioni commerciali più o meno espliciti, creando una relazione con l’utente per comunicare i valori della marca attraverso la combinazione strategica di suoni, musica e parole.

Conclusioni

I cenni di storia della comunicazione commerciale – sempre più densa di suoni – e l’ecosistema sonoro (che, ricordo!, abbiamo chiamato Soundscape) composto da una moltitudine di sonic touchpoint non lasciano spazi a molti dubbi: il futuro del marketing aziendale è (anche) sonoro.

Le ricerche sulla correlazione tra musica ed esperienze umane mostra come la prima faccia bene alle persone in tutte le loro dimensioni: come consumatori, come collaboratori e dipendenti, e così via. Anche perché l’audio è permeabile, un condotto sempre aperto.

Nell’immediato futuro, l’intelligenza artificiale con le sue mille potenzialità non farà poi altro che arricchire ulteriormente il potenziale a disposizione per fare la differenza anche attraverso il senso dell’udito.

E allora, buon ascolto!