A proposito del graphic design provocatorio

A proposito del graphic design provocatorio

Tanita Wensky Pubblicato il 5/2/2018

Sui gusti non si discute, o almeno così dice il proverbio. Anche sul design non si discute. E la rete sembra essere il luogo migliore per farlo, ancora prima della guerra su Twitter di Donald Trump. C’è chi afferma che il graphic design provocatorio sia una rivoluzione, o per lo meno l’inizio di un cambiamento nel design, ma viene deriso da chi non è d’accordo come nel blog satirico su Tumblr Critical Graphic Design.

Il graphic design provocatorio descrive la tendenza, negli ultimi anni sempre più diffusa fra i progettisti, a considerare il design come metodo di ricerca, oppure a svolgere ricerche proprio attraverso il design. I designer provocatori sono progettisti che vogliono ridefinire e sfidare il design e, nello stesso tempo, mettere in discussione i limiti di quello contemporaneo. In questo modo la progettazione diviene una forma di critica straordinaria, attraverso la quale si riescono a trattare contemporaneamente temi che esulano dalla progettazione in sé. L’ambizione dei designer provocatori è quella di presentare o collegare le conoscenze politiche, sociali e culturali in un output visivo.

Uno degli esempi più noti di graphic design provocatorio è senza dubbio Metahaven . L’ufficio di Amsterdam si definisce come Studio di Collaborazione per il Design e la Ricerca e ha un forte approccio concettuale con il graphic design. A livello contenutistico, Metahaven si occupa anche di tematiche sociopolitiche contemporanee. Spesso lo Studio pubblica i propri lavori sotto forma di saggi e libri. Nel film The Sprawl (Propaganda about Propaganda) Metahaven esamina i generi e le modalità di trasmissione narrativa delle informazioni nei social media, con le conseguenze che ne derivano. Attraverso la sovrapposizione visiva, il film diventa un tutt’uno con la notizia. Il concept dello Studio, che più o meno funziona come un Think Tank, crea mostre e poster radicali, seppur esteticamente belli, che rappresentano un’alternativa al marchio tradizionale. Attraverso la ricerca e nuove domande, Metahaven fornisce nuovi compiti ai progettisti, i quali, con il loro lavoro, offrono uno spazio al pensiero speculativo in combinazione con l’output.

Un altro esempio di graphic design provocatorio è la tesi di laurea magistrale dal titolo Sexed Realities – To Whom Do I Owe My Body? di Anja Kaiser. Nel suo lavoro, Anja Kaiser si occupa del corpo umano visto come superficie di proiezione. Sul piano teorico e visivo, approfondisce il tema del femminismo nell’era dei social media e mostra quali forze sociali influiscano sul corpo. Con Sexed Realities Anja Kaiser mette in evidenza come la società plasmi il corpo umano. Questo progetto integra diversi mezzi di comunicazione, tra cui una video installazione, un sito web e una collezione di teli da mare.

Il grafico olandese Ruben Pater allestisce narrazioni visive su temi politici complessi, impegnandosi a creare nuove relazioni tra giornalismo e design. Nel suo lavoro Drone Survival Guide, anche Pater si occupa delle nuove tecnologie e stimola una nuova consapevolezza sui droni. Il suo manifesto è stampato su un foglio di alluminio riflettente, una scelta dettata non solo da ragioni estetiche, ma anche perché è risaputo che le fotocamere dei droni vengono disturbate dalla luce riflessa. Sul fronte il manifesto mostra, riprodotti in scala, i profili dei droni maggiormente diffusi, oltre al loro scopo e alla nazionalità.

Sul retro, nelle lingue pashtu e inglese, sotto il titolo Birdwatching del 21° secolo si trovano delle spiegazioni su come difendersi dai droni e altre illustrazioni. Il suo lavoro ha ispirato anche l’artista Jim Ricks (), il quale si è recato in Afghanistan e ha fatto realizzare un tappeto con i disegni del Drone Survival Guide.

Mostre seguite da un pubblico sempre più internazionale si sono focalizzate su opere grafiche ricche di contenuti, come ad esempio Forms of Inquiry , una mostra curata dall’allora direttore artistico della Architectural Association, Zak Kyes. Per questa esposizione i graphic designer furono invitati a rispondere a svariati temi concettuali attraverso le loro opere grafiche, oltre a presentare la propria linea di ricerca. La mostra ha avuto successo ed è stata allestita in diverse città d’Europa. Una mostra più recente che ha attirato l’attenzione internazionale è stata All Possible Futures, curata da Jon Sueda. La mostra, incentrata sulle ideatrici del graphic design provocatorio e speculativo, ha messo in mostra progetti auto-promossi e lavori commissionati sviluppati con un alto alto grado di autonomia, prendendo anche in esame i modi di lavorare e il potenziale del graphic design provocatorio. Il libro All possible future getta uno sguardo ulteriore sulle singole opere. Anche la pubblicazione Iaspis Forum on Design and Critical Practice: The Reader, presentata nel contesto della mostra Forms of Inquiry, fornisce una buona panoramica sulle diverse opere del graphic design provocatorio.

Gli esempi mostrano come sempre più opere di graphic design abbiano uno stile concettuale o artistico libero. Possiamo affermare che il graphic design provocatorio approfondisce e promuove il design come disciplina, crea nuovi modi di lavorare e nuove strategie e, nello stesso tempo, aiuta a sollevare nuove questioni. L’approccio multidisciplinare porta inoltre a osservare il design da un’altra angolazione. Il graphic design viene quindi integrato come pratica accademica, poiché il più ampio approccio multidisciplinare fra i vari campi consente di accrescere la conoscenza del design visivo. Attraverso il graphic design provocatorio, il design visivo ha dunque la possibilità di creare una propria forma autonoma di critica.