I font di Sergio Leone

I font di Sergio Leone

Giovanni Blandino Pubblicato il 1/25/2021

Visi incredibilmente sporchi, sguardi di ghiaccio, villaggi desolati, cinici pistoleri, fuorilegge spacconi e le indimenticabili musiche di Ennio Morricone. Sono tanti gli elementi che hanno contribuito a rendere immortali gli spaghetti western, il genere cinematografico di cui Sergio Leone è il padre fondatore.

Ma parte della loro fortuna i western all’italiana la devono anche ad altro: i titoli di testa, il lettering e quelle sperimentazioni tipografiche che – spesso dimenticate – hanno invece donato una nuova estetica al genere western.

Pochi sanno che a curare i titoli dei primi film di Sergio Leone fu un artista di provincia, emigrato a Roma e totalmente autodidatta: Iginio Lardani. Se Sergio Leone ha reinventato un genere in declino, Iginio Lardani ha sperimentato tecniche all’avanguardia aggiungendo quel tocco di artigianalità e originalità tipico dei western all’italiana.

Ma non tutti i titoli di Sergio Leone furono curati da Lardani… dai classici Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo, ai film dal timbro diverso come C’era una volta il west e C’era una volta in America, oggi vi raccontiamo le scelte tipografiche di Sergio Leone, il re degli spaghetti western.

Per un pugno di dollari

Per un pugno di dollari uscito nel 1964 è l’atto di nascita degli spaghetti western. Ispirato – o copiato, secondo alcune accuse – a La sfida del samurai di Akira Kurosawa e all’opera teatrale di Carlo Goldoni Arlecchino, servitore di due padroni, il film ebbe un incredibile, quanto inaspettato successo.

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I titoli di testa furono curati da Iginio Lardani che inaugura qui un’estetica fatta di lettering audaci e sperimentazioni nel campo dell’animazione. A un paio di anni prima risalgono i celebri titoli realizzati dal designer Saul Bass per Alfred Hitchock [link ad articolo interno “I font di Alfred Hitchcock”] e quelli di Maurice Binder per 007 – Licenza di uccidere. I titoli di Iginio Lardani si inseriscono in questo filone e diventano anch’essi quasi dei film nel film.

Le figure di uomini a cavallo dei titoli sono state realizzate con la tecnica del rotoscope, una tecnica di animazione ideata nel 1915 dall’animatore Max Fleischer in cui il disegnatore ricalca le scene a partire da una pellicola filmata in precedenza. Mentre i due colori – il nero e rosso – anticipano la lotta tra le due famiglie che sarà al centro del film.

Al termine dei titoli di testa poi una luce bianca offusca tutto – ecco, finisce così il prologo animato che apre il truce racconto che ci aspetta.

Per qualche dollaro in più

Per qualche dollaro in più esce nel 1965, un anno dopo lo straordinario successo di Per un pugno di dollari. È il secondo film della cosiddetta trilogia del dollaro ed è stato il quinto film italiano più visto di sempre.

Immagine: http://annyas.com/

Anche in questo caso i titoli di testa sono stati realizzati da Iginio Lardani. I testi compaiono questa volta su uno sfondo fisso: è un tipico paesaggio western – il film in realtà fu girato in Spagna come gran parte degli spaghetti western – dove trotterella un cavallo rimasto senza il suo pistolero.

Dopo Saul Bass con i titoli di Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock, Lardani è uno dei primi a sperimentare la tipografia cinetica – ovvero quella tecnica di animazione che mescola sapientemente movimento e testo usando l’animazione video. Se i titoli di Hitchcock sono assillanti, quelli di Lardani per Sergio Leone sono quasi giocosi: le scritte compaiono di volta in volta con effetti diversi e vengono prese di mira dalle pallottole di un fucile invisibile. Già nei titoli di testa quindi Sergio Leone inverte la retorica trionfalista tipica dei western americani, aggiungendo quel tocco di ironia che fa il paio con la brutalità delle storie raccontate.

Il buono il brutto, il cattivo

Considerato il capolavoro di Sergio Leone e pietra miliare dello spaghetti western, Il buono, il brutto, il cattivo esce nel 1966. Sergio Leone ambienta il film durante la Guerra di secessione americana, denunciando la follia di quella guerra: in questo modo inverte ancora una volta uno dei pilastri dei western americani dai toni decisamente più trionfalistici.

Immagine: http://annyas.com/

Oggi Il buono, il brutto, il cattivo è annoverato tra i migliori film western, tanto che Quentin Tarantino lo giudica tra le migliori pellicole di tutti i tempi.

Anche i titoli di testa – sempre curati dal maestro Iginio Lardani – sono considerati una summa delle tecniche sperimentate dall’artista nei due lavori precedenti. C’è un po’ di tutto: un mix di lettering diversi che sarebbe inconcepibile in contesti più seriosi, la tipografia cinetica, cowboy animati tramite la tecnica del rotoscope e diversi effetti creati in maniera estremamente artigianale con fotografia ad alto contrasto e materiali come polvere di caffè e olio (qui un interessante articolo approfondisce l’uso di queste tecniche).  

C’era una volta il west

C’era una volta il west di Sergio Leone esce nel 1968. È in qualche modo un film più maturo rispetto ai precedenti che influenzò giovani registi come Quentin Tarantino e Martin Scorsese – oggi è considerato uno dei migliori film western di tutti i tempi..

 Tra le cose indimenticabili di ques

Immagine: http://annyas.com/

to film c’è la lunghissima scena iniziale. Nei sette minuti iniziali con cui si apre il film non succede praticamente niente – a parte una lotta tra un pistolero e una mosca –, ma Sergio Leone grazie al montaggio e alla musica riesce a creare la tensione giusta che darà il via al film. I titoli di testa, differentemente dai lavori precedenti, si amalgamano placidamente al passo lento delle immagini anche grazie all’uso di un font dalla storia particolare: il Cooper Black.

Questo carattere tipografico graziato, rotondeggiante, irregolare e dal gusto retrò fu disegnato nel 1921 da Oswald Bruce Cooper, un tranquillo designer del midwest americano, e diventò molto popolare negli anni Venti e Trenta soprattutto in campo pubblicitario. Poi stranamente fu riscoperto negli anni Sessanta, divenendo in pochi anni uno dei font più usati al mondo. Migliaia e migliaia di giovani iniziarono a usare questo font in volantini fai-da-te stampati grazie alla tecnica della fotocomposizione per pubblicizzare manifestazioni, concerti, discussioni e proiezioni, mentre il Cooper Black iniziava a comparire anche nelle copertine dei dischi più famosi: tra i tanti citiamo Pet Sounds dei Beach Boys, L.A. Woman dei The Doors e Ziggy Stardust di David Bowie – ma ci sono anche quelli dei Rolling Stones, di Johnny Cash, di James Brown e di tanti altri. Qui un interessante video approfondisce la strana storia di questo font.

C’era una volta in America

C’era una volta in America, uscito nel 1984, è l’ultimo film di Sergio Leone. È un film diverso dai precedenti nel genere (non è un film western), ma non nelle tematiche di fondo: narra infatti le drammatiche vicissitudini di un criminale, interpretato magistralmente da Robert De Niro, e della sua gang nell’arco di quarant’anni – dagli anni Venti agli anni Sessanta – nella New York del proibizionismo. Dopo essere stato accolto tiepidamente alla sua uscita, nel corso degli anni il film è stato rivalutato diventando uno dei film più apprezzati del regista italiano.

Immagine: http://annyas.com/

Per i titoli di testa di C’era una volta in America, Sergio Leone sceglie un font decorativo e vintage: il Victorian. Nonostante si rifaccia alla raffinatezza dell’età vittoriana – da qui appunto il suo nome – e allo stile delle insegne della fine dell’Ottocento, il carattere tipografico è in realtà quasi contemporaneo all’uscita del film, fu infatti progettato solo nel 1976 dai designer britannici Freda Sack e Colin Brignall.

Qui il font usato nei titoli di coda.

Ecco dunque: così come Sergio Leone ha sfidato i cliché del genere western reinventandolo e rendendolo immortale, anche le sue scelte tipografiche – in particolare grazie alla collaborazione nei suoi primi film con l’artista Iginio Lardani – hanno sfidato le norme estetiche di quegli anni. Hanno sperimentato in maniera anti-accademica linguaggi, lettering e tecniche diverse, dalla tipografia cinetica al rotoscope, e stabilito un’estetica che da quel momento in poi ha identificato il genere western. Insomma, mantenendo quel tocco di originalità e artigianalità tipica del cinema italiano di quegli anni, i titoli degli spaghetti western di Sergio Leone si possono annoverare tra gli esempi più celebrati in questo campo.

Per approfondire la conoscenza dell’opera (troppo spesso ignorata) di Iginio Lardani vi consigliamo questo lungo articolo di Ben Radatz.