I font di Stanley Kubrick

I font di Stanley Kubrick

Giovanni Blandino Pubblicato il 2/19/2021

Stanley Kubrick è tra i registi più famosi di sempre, se non il più famoso. Ha realizzato relativamente pochi film, 13 in quasi cinquanta anni di carriera, eppure in ognuno di essi ha esplorato a fondo sentimenti, storie e ambientazioni sempre nuove: dallo spazio profondo alla guerra in Vietnam, dall’antica Roma all’intima psicologia di una coppia.

Le sequenze dei suoi film sembrano essersi così impresse, più o meno inconsciamente, nel nostro immaginario – il monolite di 2001: Odissea nello spazio, l’accetta di Jack Nicholson in Shining, la pedicure di Lolita e la camminata dei drughi in Arancia meccanica.

Ma quali sono i caratteri tipografici che Kubrick ha utilizzato per introdurre scene così potenti? E quali aneddoti si celano dietro il lettering delle sue locandine più famose? Avete capito: oggi vi proponiamo una carrellata dei font scelti da Kubrick in alcuni dei suoi lungometraggi più famosi, insieme a una curiosa analisi delle sue passioni tipografiche

Il dottor Stranamore

Stanley Kubrick nella sua filmografia è riuscito a spaziare dal thriller al film di guerra, dal film storico a quello erotico. Con Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, uscito nel 1964 e suo settimo film, si cimenta con la commedia.

In questa satira nera Stanley Kubrick mette a dura prova il suo pubblico portando nei cinema una parodia della Guerra Fredda proprio negli anni di massima tensione del conflitto tra Stati Uniti e Russia. Il film è ricco di elementi dissonanti — umorismo e tematiche drammatici, pulsioni erotiche e morte — che secondo molti critici rappresentano il binario su cui si regge tutto il film.

Anche i titoli iniziali giocano sul contrasto accoppiando un lettering quasi infantile a una scena che ritrae il rifornimento aereo di un velivolo militare (secondo alcuni una metafora dell’atto sessuale). La realizzazione dei titoli è affidata a Pablo Ferro, designer cubano che fino a quel momento si era occupato principalmente di pubblicità. In seguito collaborerà con Kubrick anche per il trailer ipnotico Arancia meccanica oltre a firmare i titoli di oltre 100 film tra cui la Famiglia Addams, Men in Black e Beetlejuice.

Il lettering di Pablo Ferro si discosta da quelli usati più comunemente fino a quel momento nel cinema: è informale, straordinariamente allungato e sottile. Perfetto per ciò che voleva Kubrick: mostrare contemporaneamente il testo e le importanti immagini sullo sfondo. Funzionò talmente bene che il regista riempì l’intera schermata con i crediti!

2001: Odissea nello spazio

Anche 2001: Odissea nello spazio, il film di Stanley Kubrick a tema fantascientifico, esce in un momento particolarmente significativo: è il 1968 e appena un anno dopo l’uomo avrebbe messo piede per la prima volta sulla Luna.

I titoli di testa di sono probabilmente i più iconici di tutta la produzione del regista con le immagini di un’alba ripresa dallo spazio, accompagnata dalle indimenticabili note di Richard Strauss. Il titolo del film appare con i caratteri estremamente leggibili e definiti del Gill Sans, forse uno tra i più classici font sans-serif tanto da essere definito “l’Helvetica britannico”.

Eric Gill disegnò il font nel 1928, basandosi sul carattere tipografico usato al tempo nella metropolitana di Londra e con l’intento di competere con una serie di font senza grazie molto in voga in quel periodo, tra cui il Futura. Il font effettivamente fu un immediato successo ed oggi è usato in molti famosi loghi tra cui quello dell’emittente britannica BBC e del brand Tommy Hilfiger. Una curiosità: nel titolo del film di Kubrick, gli zero di “2001” sono resi con il carattere della lettera O.

Per la locandina di 2001:Odissea nello spazio, Kubrick sceglie invece proprio il font Futura che, come vedremo, è uno dei font preferiti dal regista. Ad alimentare ancora di più gli intrecci tra l’allunaggio e il film di Kubrick c’è il fatto che la targa lasciata sulla Luna dall’equipaggio americano a celebrarne la “conquista” è incisa proprio in Futura. 

Shining

Che Stanley Kubrick fosse perfezionista ed estremamente puntiglioso è fatto noto. Pochi forse sanno però che le sue severe esigenze riguardavano anche il lettering. Un aneddoto riguarda proprio uno dei suoi capolavori: il thriller psicologico Shining, uscito nel 1980.

Il lettering utilizzato nella locandina fu realizzato da Saul Bass, il grafico e illustratore newyorkese che rivoluzionò il mondo del cinema con i suoi titoli e locandine cinematografiche – realizzando veri e propri capolavori per Hitchcock (Vertigo, La donna che visse due volte e Intrigo internazionale), Ridley Scott (Alien) e lo stesso Stanley Kubrick (Spartacus). Ma la fama di Saul Bass non lo salvò dalla puntigliosità di Kubrick.

Saul Bass presentò ben cinque bozze per la locandina per Shining, ma nessuna di queste soddisfò il regista che ebbe da ridire sul lettering scelto: “troppo difficile da leggere” o “non abbastanza compatto”, commentò il regista (qui trovate la storia completa). Si racconta che Kubrick gli fece realizzare oltre 300 bozzetti prima di essere soddisfatto.

Pensando invece alla scena iniziale di Shining, è difficile non farsi prendere da una particolare angoscia: un campo lunghissimo segue l’auto della famiglia mentre si insinua in un paesaggio sperduto e montano, la musica sottolinea preoccupazione, ma il tocco finale è costituito dal font. Un neutro Helvetica – anche questo uno dei sans serif più famosi – contrasta con tutto il resto grazie a un elemento altamente disturbante: il colore.

Barry Lyndon

Barry Lyndon (1975) è il secondo film con ambientazione storica di Stanley Kubrick che segue le avventure – e soprattutto le disavventure – di un gentiluomo irlandese nell’Europa del Settecento. Si tratta di un film fortemente visivo in cui l’estetica è curata in maniera maniacale, basti pensare che è tutto girato con luce naturale, candele e lampade a olio, grazie a un particolare obiettivo realizzato dalle ottiche Zeiss per la NASA.

Barry Lyndon è anche un’opera che si discosta dal resto della produzione di Kubrick per due motivi: è particolarmente lontano dai temi usuali del regista ed è uno dei rarissimi casi in cui sono utilizzati dei caratteri graziati (con svolazzi particolarmente pronunciati). Complice l’intervento di Bill Gold che, dopo settimane di intenso scambio di idee con il regista, disegnerà la locandina e l’intero alfabeto di caratteri che Kubrick utilizzerà nella pellicola anche per i titoli di testa e dei singoli capitoli.

Bill Gold è un grafico conosciuto per aver realizzato centinaia di locandine cinematografiche, tra cui quelle di Casablanca, L’esorcista, Delitto perfetto, e per la sua lunga collaborazione con Clint Eastwood.

Eyes wide shut

Eyes Wide Shut è il film che chiude la produzione di Stanley Kubrick — il regista muore lo stesso anno dell’uscita del film, il 1999 — ed è un dramma con tinte erotiche. I titoli di testa vengono mostrati a tutto schermo su fondo nero, sono definiti e pesanti ma ci lasciano scorgere per un momento, come da una fessura, la sequenza in cui Nicole Kidman lascia cadere il suo vestito. Il font utilizzato per i titoli è il Futura, nella variante Extra Bold

In un’intervista di qualche anno fa, Tony Frewin – lo storico assistente personale di Kubrick – racconta di come il Futura fosse il carattere tipografico del regista e di come spesso provava, inutilmente, a convincerlo a usare dei font graziati. In realtà, Kubrick non utilizzerà il Futura così spesso: all’interno dei titoli di testa lo vediamo solo nel suo ultimo film, anche verrà effettivamente scelto in diversi poster e trailer.

Dunque, la ricchezza visuale delle pellicole di Stanley Kubrick è spesso accompagnata da font classici, puliti e senza grazie. Dei caratteri tipografici semplici che in mano ad altri registi potrebbero quasi risultare banali. Ma Kubrick, attraverso la sua tecnica cinematografica, li rende potenti e praticamente indelebili dalla memoria insieme alle scene iniziali più famose dei suoi film. È questa una delle magie di Stanley Kubrick: riuscire a trasformare in icone gli elementi più semplici e fondanti – che si tratti di font o di sentimenti.