Le copertine di riviste che hanno scritto la storia

Le copertine di riviste che hanno scritto la storia

Redazione Pubblicato il 1/20/2019

Alcune immagini smettono di essere scatti o illustrazioni, e diventano un capitolo di storia. Per scrivere questo articolo siamo andati a rispolverare, nella soffitta della memoria, alcune di quelle copertine di riviste che nel tempo sono diventate pezzi da collezione. Prime pagine che hanno fatto il giro del mondo, raccontando alcuni piccoli o grandi cambiamenti della storia.

Qui trovate le copertine di riviste di moda che hanno fatto scalpore, le copertine di Life più famose, quelle a cui sono legati aneddoti particolari e tanto altro. Ve le mostriamo tutte e ve ne raccontiamo retroscena e curiosità.

Glamour: compare la prima ragazza di colore

Siamo nell’agosto del 1968 quando esce questa copertina di Glamour.

A prima vista non ci mostra nulla di sconvolgente. La cover ritrae Katiti Kironde, una ragazza di 18 anni che studia ad Harvard ed è figlia di un diplomatico dell’Uganda, è qui perché ha vinto il contest “Glamour’s top 10 Best Dressed College Girls”. Quello che ancora non sapete, è che Katiti è la prima donna di colore apparsa sulla copertina di un magazine. L’immagine di questa ragazza, raffinata e sorridente, è diventata il simbolo dell’integrazione razziale. Nella storia di Glamour, questo è il numero più venduto di tutti i tempi. 

Copertine di Life: dai Beatles all’allunaggio

Da quando in redazione è arrivato Henry Luce (nel 1936), il creatore del giornalismo illustrato moderno, le copertine di Life ospitano immagini di reportage o ritratti di personaggi influenti. Giusto per capirci, la rivista colleziona scatti di autori del calibro di Robert Capa, Gordon Parks, Alfred Eisenstaedt e Henri Cartier-Bresson. Oggi la versione cartacea del magazine non esiste più, ma alcune delle sue più celebri copertine sono ben impresse nella nostra memoria.

Come quella del 28 agosto 1964 che ritrae i Beatles.

A febbraio Henry Luce decide di dedicare la copertina del nuovo numero a un gruppo inglese emergente che in quel periodo era in tour in America. La redazione non si mostra molto convinta e l’idea viene in un primo tempo messa da parte. Dopo pochi mesi, però, è costretta a ricredersi: i Beatles tornano negli Stati Uniti per un secondo tour, tornarono non come gruppo emergente ma come star a livello mondiale. La redazione dedica al quartetto la copertina di agosto con una foto scattata, in realtà, a gennaio, in Inghilterra, da John Dominis.

Il 30 aprile 1965 la rivista lascia tutti i suoi lettori a bocca aperta. Sulla copertina compare questa immagine, all’epoca sconvolgente.

È un feto di 18 settimane nel suo sacco amniotico. L’immagine ha dell’incredibile ed è frutto della scommessa del grande fotoreporter svedese Lennart Nilsson che, ormai da dieci anni, si è lanciato in un’impresa apparentemente impossibile: vuole fotografare a colori i vari momenti della riproduzione umana, dalla fecondazione alla nascita. Gli scatti che spedisce alla redazione sono commoventi, Nilsson è il primo fotografo a ritrarre lo sviluppo della vita umana. Non tutti sanno, però, che buona delle sue fotografie ritraggono, per la maggior parte, feti non più in vita.

Il numero più celebre di Life è senza dubbio quello dell’allunaggio del 1969. L’immagine dello sbarco sulla Luna, per tanti, ancora coincide con questa fotografia.

“To the Moon and Back” documenta la prima passeggiata lunare della missione Apollo 11, avvenuta tra il 20 e il 21 luglio 1969. Due settimane dopo, sulla copertina di Life vediamo ritratto l’astronauta Buzz Aldrin e, riflesso sul suo casco, Neil Armstrong che scatta la foto. Un numero che non ha prezzo. Anzi, che ce l’ha eccome, visto che su Amazon è in vendita a 265 mila dollari (nuovo).

Rolling Stone: l’ultima foto di John Lennon

Torniamo alla musica, perché nel dicembre del 1980 Rolling Stone commissiona a Annie Leibovitz un servizio fotografico che ha per protagonista John Lennon. Il cantante insiste per essere ritratto con la compagna Yoko Ono e così Leibovitz propone alla coppia di posare insieme nudi. Ma Yoko Ono, che non se la sente di svestirsi, rimane vestita. La copertina esce nel gennaio 1981.

Lo scatto è un pezzetto di storia. John Lennon è ritratto nudo, accovacciato sul corpo della compagna, come un bambino vicino alla madre. L’immagine racconta il dolce consegnarsi nelle mani dell’altro, l’intimità amorosa che lega la coppia. La fotografia, però, è diventata storia anche per un’altra ragione: qualche ora dopo lo scatto, John Lennon viene assassinato. Questa è infatti l’ultima fotografia che lo ritrae.

National Geographic: gli occhi di Sharbat Gula

Giugno 1985, il National Geographic pubblica questa copertina.

In un campo profughi di Peshawar, Steve McCurry fotografa il volto di Sharbat Gula, un’orfana afghana di 12 anni. Dovete sapere che, inizialmente, l’immagine venne scartata dall’art director del magazine. Fu l’editor Bill Garrett ad accorgersi della sua potenza e a decidere di pubblicarla nella copertina del numero di giugno. Gli occhi di ghiaccio di Sharbat Gula hanno raccontato a milioni di persone in tutto il mondo le sciagure della guerra.

Vanity Fair: la gravidanza non è più un tabù

La copertina dell’agosto 1991 di Vanity Fair è coraggiosa e controversa, perché è la prima volta che viene mostrata una donna nuda con il pancione. Demi Moore posa senza veli per questo scatto provocatorio.

Scatto che punzecchia i benpensanti, sono in tanti infatti a considerare il corpo di una donna in gravidanza ancora come un tabù. Di contro la rivista propone l’immagine di una donna nuda e sensuale, che non ha paura di mostrare i cambiamenti del proprio corpo.

The New Yorker: il vuoto dell’11 settembre

Le cover del New Yorker da sempre si distinguono per la ricercatezza artistica, l’eleganza e la sagacia con cui vengono indagate le sfumature del mondo occidentale. Quella che più è rimasta scolpita nella nostra memoria è datata settembre 2001.

Con asciutta drammaticità viene ritratto un momento che fa da spartiacque nella storia contemporanea: l’attentato dell’11 settembre. Si spengono le luci sul simbolo della potenza occidentale, viene messa in discussione la sua invulnerabilità e si entra nel tempo della paura e della diffidenza. L’immagine creata da Art Spiegelman e Françoise Mouly è asciutta, nel buio si intravedono appena le sagome delle due torri, che sono due spazi neri e vuoti. Viene scelta un’illustrazione e non una fotografia, perché nessuna immagine fotografica è capace di raccontare il vuoto e il dolore lasciato da un evento così drammatico.