Una passeggiata per la cartiera di Rossano Veneto (Vicenza) di Favini

Una passeggiata per la cartiera di Rossano Veneto (Vicenza) di Favini

Luca Tancredi Barone Pubblicato il 9/13/2017

C’è un materiale che come pochi altri è legato indissolubilmente alla nostra storia. Una sostanza che ripercorre gli ultimi secoli della civilizzazione occidentale. Che ci congiunge all’acqua, ai boschi, alla geografia e all’orografia del nostro continente. Che combina cultura e conoscenze tecnico-scientifiche, il bisogno di trasmettere l’arte e l’indispensabile supporto per la scrittura, il glamour di un packaging di lusso con la prosaica necessità di avvolgere la verdura al mercato o di trasportare la spesa a casa. La pragmatica esigenza di etichettare un bene, con il superfluo invito a un evento di gala. 

È la carta, il cui odore ci riempie le narici all’aprire un libro nuovo, il cui fruscio regala piacere all’udito dei bibliofili, alla cui sensazione tattile non possono rinunciare neppure gli amanti degli e-book. La troviamo in tutte le forme, spessori e colori. “È pazzesco quello che si può fare con la carta”, riassume Marco Bertolo, il direttore commerciale di una delle più importanti cartiere europee, Favini.

Entrare in una cartiera è un po’ come entrare nel tempio della carta, e allo stesso tempo è anche scoprire quali sono gli ingredienti che la rendono così magica e versatile. Nella Repubblica Serenissima di Venezia, la carta iniziò a prodursi in questo sito nel 1736, mentre la famiglia Favini cominciò a dedicarvisi nel 1906, a Rossano Veneto, dove ancora oggi si trova la fabbrica di una delle carte più speciali oggi sul mercato. “Siamo artigiani della carta”, spiega Bertolo. “Noi facciamo carte speciali: non abbiamo macchinari enormi, non possiamo fare carte di massa. Chi le fa possiede macchinari tre o quattro volte più grandi di noi, e a velocità doppia”.

Come tutte le cartiere, anche Favini sorge accanto a corso d’acqua. Un tempo, per fare un chilo di carta, c’era bisogno di fino a 80 litri d’acqua. Oggi la media è scesa in Europa a 40-45 litri, una quantità comunque importante. Ma Favini vanta un record. “Con la nostra mentalità eco-friendly, consumiamo solo 14/15 litri per chilo di carta”. Il corso d’acqua arriva ancora fin dentro la cartiera, come quando venne costruita, ma oggi l’acqua per fare la carta Favini l’estrae dall’acquedotto, e scarica nel fiume solo acqua pulita e microfiltrata.

Copyright: Luca Tancredi Barone

Prima di entrare verso il cuore pulsante della cartiera, la lunga macchina che stende sul rullo un impasto colorato di acqua e cellulosa, s’incontrano montagne di carta e cartone di tinte vivaci e colori pastello, rigorosamente divise per tonalità: sono gli scarti, che verranno riutilizzati quando si tornerà a produrre carta nella stessa sfumatura cromatica. Già, perché la cellulosa è cellulosa, e può tornare in circolo facilmente perché non è stata ancora stampata con l’inchiostro.  L’aspetto della cellulosa grezza ricorda un po’ una specie di cartone assorbente. Quella che usa Favini viene dal Brasile, dal Nord America e da alcuni Paesi europei. Può essere di fibra corta, più adatta per la stampa per la sua buona resa cromatica, o a fibra lunga, per essere più resistente allo strappo, indicata per esempio per diventare una shopper.

Ma Favini (vedi scheda) usa anche scarti della filiera alimentare per produrre la carta, ed è questa una delle sue particolarità: all’esterno dello stabilimento si trovano anche sacchi di pastazzo di agrumi, di scarti della mandorla, del mais, la buccia del caffè, dei fagioli, le vinacce esauste, la sansa d’oliva. E la farina di alghe, che meritò a Favini un lungimirante brevetto negli anni 90, quando le mucillagini invadevano l’Adriatico e Favini ci seppe trovare l’opportunità di diminuire la quantità di cellulosa necessaria per produrre le sue carte (vedi intervista).

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A seconda del tipo di carta che si deve produrre, si sceglie la cellulosa più adeguata. Trasportate su rotaie, le balle di cellulosa finiscono in due grandi pentoloni, detti pulper, in cui un’elica spappola la cellulosa e la mischia all’acqua e ad alcuni elementi chimici che si usano per arrivare all’impasto finale. Tra questi, il talco o il caolino, minerali che servono per riempire gli interstizi fra le fibre della cellulosa e che contribuiscono alla lucentezza della carta, il carbonato di calcio o il biossido di titano, sostanze chimiche con la stessa funzione dei minerali; oppure collanti per migliorare la stampabilità, e poi ancora, coloranti o opacizzanti.

È ora che arriva il momento più esteticamente (e acusticamente) impressionante dei primi momenti di vita della carta. Quando l’impasto è terminato, viene disposto sulla macchina continua, detta tavola piana. Qui viene depositato su una specie di nastro trasportatore. Se la grammatura della carta è sottile, 80/90g per metro quadrato, viene depositato meno materiale e la macchina va più veloce. Al contrario, se la grammatura è più elevata, il nastro scorre più lentamente per dare tempo alle fibre di aderire. La carta poi si asciugherà nei cilindri essiccatoi, un meccanismo che, come in un forno, asciuga la carta assorbendone tutta l’umidità.

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A questo punto, dopo che ne è stata valutata la qualità, la carta viene avvolta in giganteschi rotoli colorati che seguiranno il loro destino. Nei casi più lussuosi, la carta verrà goffrata: vuol dire che verrà schiacciata contro un cilindro di metallo con un disegno in rilievo che lascerà impresso un motivo sulla carta, rendendola pregiata. Dopo essere uscita dalla macchina goffratrice, le taglierine si occuperanno di conferirle il formato necessario.

“Purtroppo non tutte le ciambelle riescono con il buco”, spiega ancora il direttore commerciale di Favini. “Alcune produzioni non rispondono agli obiettivi di qualità prefissati.” In questo caso, continua Bertolo, può succedere che ce ne accorgiamo troppo tardi, quando la bobina o il bancale di carta sono stati già prodotti. “Nel caso in cui la carta è di prezzo o valore medio-basso, la re-pulperiamo, cioè la ricicliamo. Se invece la carta ha valore importante e dai segnali di produzione sappiamo che il difetto si presenta solo ogni cento o duecento metri, sarebbe un peccato buttar via tutto”. Ed è qui che intervengono delle professioniste dall’occhio fino, così timide da schivare le domande del cronista. A una velocità impressionante, sono in grado di analizzare foglio per foglio e di individuare quelli che contengono il difetto di produzione per scartarlo. Un lavoro certosino che molto umilmente portano avanti con amore e dedizione.

Una volta superato quest’ultimo controllo di qualità, la carta di Favini è finalmente pronta per raggiungere i suoi clienti e per arrivare nelle nostre case e nelle nostre vite. Ma ora che sappiamo quanto è costato produrla, questa carta, non potremo più dire con noncuranza: è solo carta.