Packaging Unboxing: perché ci piace spacchettare in diretta?

Packaging Unboxing: perché ci piace spacchettare in diretta?

Massimiano Bucchi Pubblicato il 12/19/2018

Il pacchetto regalo? Nasce nel lontano Oriente

Su Youtube sono sempre più diffusi i video sul cosiddetto “unboxing”. Sono video in cui acquirenti di prodotti ordinati su siti di commercio digitale, armati di taglierino, aprono uno dopo l’altro i pacchetti davanti alla telecamera per illustrarne poi il contenuto: smartphones, giochi, tablet, robot per la pulizia della casa. Si tratta di una delle tante bizzarrie che caratterizzano i social, o di una spia di tendenze più generali e significative?

L’abitudine a incartare o impacchettare i doni ha una lunga tradizione. In Cina, patria dell’invenzione della carta, la pratica di incartare presenti o ricompense (anche in denaro) è documentata fin dalla dinastia Song (960-1279). Nel mondo occidentale, l’introduzione commerciale di carta decorata per impacchettare i regali viene spesso fatta risalire ai primi decenni del secolo scorso e attribuita al negozio di cartoleria dei fratelli Hall a Kansas City.

L’apertura del pacchetto prolunga il piacere dell’esperienza di ricevere il regalo

L’apertura del pacchetto prolunga il piacere dell’esperienza di ricevere il regalo, aggiungendovi la trepidazione dell’attesa e la curiosità di scoprire di cosa si tratti. Secondo uno studio condotto da un gruppo di psicologi americani negli anni Novanta, chi riceve in dono un oggetto incartato lo apprezza maggiormente rispetto allo stesso oggetto consegnato senza pacchetto[1].

Quando acquistiamo per nostro conto prodotti come abiti, calzature, oppure gli stessi prodotti elettronici o addirittura le capsule per il caffè espresso, anche se ovviamente non sono incartati in carta da regalo, ci attendiamo che la confezione sia coerente con la qualità estetica e il design dell’oggetto. Passeggiare con la busta di un noto negozio di abbigliamento o con il logo di una nota marca di capsule per caffè segnala a conoscenti e passanti il nostro gusto e le nostre scelte.

Impacchettare gli oggetti è una vera arte

Nella cultura giapponese, il termine tsutsumi (つつみ) indica “l’arte di impacchettare”. Ma il concetto, diversamente da quello occidentale, non è quello di attirare l’attenzione sul contenuto con colori sgargianti, ma “di proteggere l’oggetto con materiali sobri ed eleganti”. Chiunque abbia acquistato un prodotto in Giappone, anche per poche centinaia di yen, sa con quale cura, con rapidi gesti, venga confezionato il pacchetto, e come perfino il cibo acquistato nei take away si presenti in confezioni impeccabili. “Lo tsutsumi ha a che fare con il piacere estetico di contemplare un pacchetto senza fretta di strapparlo per vedere cosa c’è dentro”[2].

In passato, alcuni tsutsumi preparati per occasioni cerimoniali erano addirittura fatti per restare incartati senza essere mai aperti. La consuetudine proviene dalla tradizione tipica della religione scintoista di offrire i doni agli dei – riso, frutta, pesce essiccato – avvolti in foglie di bambù o in involucri di terracotta.

Nell’era del commercio digitale, buona parte dell’esperienza fisica con il prodotto è inevitabilmente dissolta. L’unboxing recupera in forma diversa quel tipo di esperienza

E-commerce: nuove regole, nuovo packaging

Nell’era del commercio digitale, buona parte dell’esperienza fisica tradizionale del contatto con il prodotto e la sua confezione (ad esempio quando un commesso ci invita a saggiare la consistenza di una stoffa o la comodità di una scarpa) è inevitabilmente dissolta, così come l’esperienza sociale o dichiaratamente vebleniana di ostentarne la confezione nel trasporto dal negozio a casa.

L’unboxing recupera in forma diversa quel tipo di esperienza. L’oggetto dell’acquisto, sino a quel momento visto solo su uno schermo, è finalmente a portata di mano e viene estratto dalla confezione, spesso particolarmente curata, soprattutto per certi tipi di beni, studiata nel dettaglio anche per compensare l’anonimato del pacco esterno in cui il corriere ce lo ha consegnato. Così si prolungano l’esperienza e il piacere dell’acquisto, sino a quel momento condensati in una ricerca, un click e qualche giorno di attesa; così l’esibizione e condivisione dell’apertura della confezione va a surrogare e restaurare la funzione identitaria e ostentativa del consumo.

Fin qui gli elementi di continuità con la tradizione, seppur inevitabilmente ridefinita. Ma tendenze come queste segnalano anche significative e profonde trasformazioni.

“L’immagine ha il solo scopo di presentare il prodotto” è la frase con cui abitualmente si cautelano i produttori alimentari mettendo le mani avanti: bello come quello fotografato sulla confezione, il risotto o la zuppa precotta non ci verrà mai.

Oppure si pensi agli acquisti in catene come IKEA: la parte più appagante è spesso quella del percorso all’interno del negozio, dove i mobili sono ben disposti e montati.  Quello che poi ci portiamo a casa sono una serie di scatole da cui dovremo poi pazientemente assemblare la libreria vista in negozio.

Al contrario, nelle confezioni che riceviamo a casa, la parte più elegante sta dentro: è solida, ha un peso, è insomma un “oggetto” molto più di ciò che avevamo visto su uno schermo prima di acquistarlo.

l’esibizione e condivisione dell’apertura della confezione va a surrogare e restaurare la funzione identitaria e ostentativa del consumo

Tecnologie e “gingilli”: la moda dell’unboxing

Lo scrittore e futurologo Bruce Sterling, nel suo libro La forma del futuro (2006) descrive la storia della civiltà come una sequenza di tecnoculture. Da quella dei manufatti, caratteristica di società fondate su caccia e agricoltura, a quella delle macchine, fino alla tecnocultura dei prodotti segnata dalla produzione e consumo di massa di beni standardizzati – la famosa automobile promessa agli Americani da Henry Ford: “Any customer can have a car (Ford T) painted any colour that he wants so long as it is black“.

Oggi secondo Sterling, alla tecnocultura dei prodotti se ne è affiancata un’altra: la tecnocultura dei gingilli (gizmos). Oggetti multifunzionali che, a differenza dei prodotti tradizionali, richiedono continue interazioni con l’utente e con i servizi di rete. L’esempio più evidente, è ovviamente lo smartphone.

Che cosa sono i prodotti che riceviamo a casa in elaborate confezioni? Sono un ibrido: in parte ancora prodotti, in parte sempre più spesso gingilli per godere dei quali dobbiamo e possiamo connetterci a servizi online (si pensi alle macchine per caffè espresso) e ad altri utenti prima e dopo l’acquisto.

Il fenomeno dell’unboxing, tra l’altro, rivela e cattura questa fase ibrida del consumo, traghettandoci dai più familiari prodotti ai nuovi gingilli, permettendoci di combinare, graduare e condividere forme diverse di esperienza di acquisto.

Che cosa sono i prodotti che riceviamo a casa in elaborate confezioni? Sono un ibrido: in parte ancora prodotti, in parte sempre più spesso gingilli

Un nuovo format online: i video di unboxing

Per un’azienda comparire in un video di unboxing girato da un cliente o da un influencer  è sicuramente un’ottima occasione di visibilità. I video unboxing fanno parte di quello che in gergo si chiama user generated content, ovvero contenuti creati dagli utenti e sfruttati per strategie di marketing ed editoriali. Solitamente i video unboxing vengono pianificati insieme agli utenti in strategie di content marketing, mentre a volte sono anche del tutto spontanei.

Ma cos’è un video unboxing? È un video in cui, per presentare un prodotto, si inizia già dall’apertura della scatola da parte dell’acquirente. Il formato nasce in realtà già negli anni Duemila su YouTube: a quel tempo però era usato quasi esclusivamente nel campo dell’elettronica, del gaming e della telefonia. Oggi i video unboxing sono sempre più diffusi su social media come TikTok e Instagram e vanno dalla moda al settore food.

I video di unboxing si focalizzano su diversi elementi, tra loro connessi. Da una parte ci sono i dettagli dell’impacchettamento da parte dell’azienda e il primo contatto con il prodotto, dall’altra ci sono le prime reazioni a caldo da parte di chi acquista. Insomma: questi video sono un piccolo concentrato di emotività connessa con un prodotto e un brand – per questo è utile tenerli d’occhio e farli rientrare in una strategia marketing aziendale.

Una volta pianificata la strategia marketing e concordati i video con (mini)influencer e utenti, l’azienda non si deve far trovare impreparata sul vero protagonista dell’unboxing: il packaging.

Massimiano Bucchi (Ph.D. Scienze Politiche e Sociali, Istituto Universitario Europeo, 1997) è professore ordinario di Sociologia della Scienza e di Comunicazione, Scienza e Tecnica all’Università di Trento ed è stato visiting professor in Asia, Europa, Nord America e Oceania. È autore di una decina di libri pubblicati in oltre venti Paesi e di saggi in riviste internazionali quali Nature e Science. Tra i suoi libri più recenti Per un pugno di idee. Storie di innovazioni che hanno cambiato la nostra vita (Bompiani, 2016, tre edizioni), Come vincere un Nobel. L’immagine pubblica della scienza e il suo premio più famoso (Einaudi, 2017, pubblicato anche in USA e Finlandia), Sbagliare da professionisti. Storie di errori memorabili (Rizzoli 2018). Ha ideato e curato numerose edizioni dell’Annuario Scienza, Tecnologia e Società (il Mulino). Scrive di scienza e tecnologia per quotidiani (Repubblica, La Stampa) e collabora con la trasmissione televisiva Superquark condotta da Piero Angela (Raiuno). Dirige la rivista internazionale Public Understanding of Science, pubblicata da Sage.

[1] Howard, D. (1992). Gift-Wrapping Effects on Product Attitudes: A Mood-Biasing Explanation. Journal of Consumer Psychology, 1 (3), 197-223

[2] L. Canovi, “Tsutsumi: l’arte giapponese di impacchettare le cose”, https://www.perinijournal.it/Items/it-IT/Articoli/PJL-28/TSUTSUMI-larte-giapponese-dellimpacchettare-le-cose