Neuromarketing: cos’è e perché è utile

Neuromarketing: cos’è e perché è utile

Sarah Cantavalle Pubblicato il 1/6/2023

Neuromarketing: cos’è e perché è utile

Il neuromarketing è una disciplina che combina nozioni di neurologia, economia comportamentale e psicologia cognitiva allo scopo di comprendere cosa accade al cervello umano quando una persona visualizza determinati messaggi pubblicitari. Attraverso la misurazione dei segnali neurali e fisiologici del soggetto, il neuromarketing si propone di analizzare i meccanismi di scelta a livello inconscio e di individuare i canali e i messaggi più adatti a influenzare i processi decisionali d’acquisto.

Il termine neuromarketing è stato coniato nel 2002 da uno dei pionieri di questa disciplina, il docente di marketing olandese Ale Smidts.  Nell’ambito delle sue ricerche sugli stimoli pubblicitari, Smidts iniziò a prendere in considerazione l’applicazione delle conoscenze neuroscientifiche e delle tecniche di neuroimaging al marketing.

Decise quindi di dedicarsi alla ricerca di metodi e strumenti per analizzare il modo in cui le diverse aree del cervello reagiscono a determinati messaggi promozionali e come influiscono sul processo decisionale. Oltre all’elettroencefalogramma (EEG), tecnica già testata in ambito marketing negli anni ’70, Smidts prese in esame l’uso di tomografie a emissione di positroni (PET) e di risonanze magnetiche funzionali (fMRI) per misurare l’attività cerebrale associata agli input pubblicitari.

Fino ad allora, la ricerca sul comportamento d’acquisto si era basata sull’assunto che il consumatore operi delle scelte unicamente in base a processi consci e razionali. Tuttavia, l’esperienza sul campo aveva evidenziato che le risposte a questionari e interviste non sempre corrispondevano alle scelte reali; inoltre diversi fattori – ad esempio la vergogna, i pregiudizi e il bisogno di compiacere gli altri – potevano indurre il soggetto a mentire.  Il neuromarketing rappresenta quindi un punto di svolta rispetto ai tradizionali metodi di analisi: per la prima volta, l’attenzione di ricercatori e marketer si focalizza sul bagaglio emozionale e cognitivo del consumatore e sui meccanismi decisionali inconsci.

Neuromarketing perché è utile
Neuromarketing perché è utile. Image by rawpixel.com on Freepik

Tecniche utilizzate

Il neuromarketing fa uso di diversi strumenti per misurare i segnali fisiologici e neurali e studiare la risposta neurocognitiva ai messaggi pubblicitari:

  • L’elettroencefalogramma (EEG) traccia l’attività cerebrale attraverso degli elettrodi posizionati sulla testa;
  • La risonanza magnetica funzionale (fMRI) rileva i cambiamenti nel flusso sanguigno all’interno del cervello ed evidenzia le aree in cui l’attività cerebrale è più forte;
  • L’eye tracking esamina i movimenti oculari e la dilatazione delle pupille per analizzare l’attenzione visiva;
  • L’analisi delle espressioni facciali studia i micro movimenti dei muscoli del viso;
  • La risposta galvanica della pelle (GSR): mediante degli elettrodi viene misurato il livello di conduttanza cutanea e quindi il grado di eccitazione emotiva del soggetto.

I dati rilevati da questi strumenti, insieme alle informazioni raccolte attraverso focus group, questionari e interviste, permettono di determinare la risposta razionale ed emotiva ai diversi stimoli inviati da pubblicità, brand e prodotti.

Mappa di calore
L’eye tracking permette di analizzare l’attenzione visiva del soggetto di fronte a uno stimolo e di rappresentare i dati raccolti attraverso la mappa di calore

Limiti e rischi del neuromarketing

I limiti inerenti all’utilizzo del neuromarketing sono legati sia a un fattore economico che alla natura stessa dell’oggetto di studio, la mente umana. Fino a qualche anno fa, le ricerche in quest’ambito erano piuttosto costose e risultavano quindi inaccessibili alle aziende di piccole-medie dimensioni. Inoltre, per quanto gli strumenti di rilevazione menzionati possano misurare con precisione determinati segnali fisiologici e neurali, non sono in grado di spiegare quale ricordo, emozione o sensazione stia provando il soggetto esaminato. Il cervello dell’uomo resta un mistero difficile da svelare, anche di fronte ai macchinari più sofisticati.

L’altro dubbio riguarda invece la sfera etica: il neuromarketing è in grado di manipolare le persone? Cosa succederebbe, ad esempio, se le aziende produttrici di sigarette usassero queste tecniche per creare campagne pubblicitarie dannose per la salute dei consumatori? Secondo Martin Lindstrom, uno dei massimi esperti della neuroscienza applicata al marketing, gli strumenti utilizzati da questa disciplina non sono “né buoni né cattivi”: dipende da come vengono utilizzati e per quale scopo. Anche il professor Vincenzo Russo, direttore scientifico del Centro di Ricerca di neuromarketing Behavior and Brain Lab IULM, la pensa allo stesso modo: “Il neuromarketing non manipola, misura quello che fa il marketing.”

Di certo, gli istituti e le imprese che scelgono di fare ricerche in questo campo hanno il dovere morale di interrogarsi sui possibili rischi e sulle finalità del progetto, puntando sulla trasparenza e la tutela della privacy dei consumatori.

Il caso Microsoft

Indagando sulle reazioni emotive e cognitive a diversi input, il neuromarketing fornisce preziose informazioni sui meccanismi di scelta inconsapevoli del consumatore. Questi dati possono poi essere utilizzati per pianificare e ottimizzare le strategie di marketing aziendale, dallo sviluppo del prodotto alla creazione dei messaggi pubblicitari.

L’azienda americana Microsoft ha scelto di valutare l’efficacia di alcune campagne promozionali sulla piattaforma Xbox attraverso il monitoraggio dei parametri fisiologici e neurali delle persone che hanno scelto di sottoporsi al test. L’obiettivo della ricerca era capire quale formato, tra gli spot televisivi di 30 e 60 secondi e gli annunci in-game pubblicati su Xbox, fosse in grado di stimolare maggiormente il cervello umano.

Durante il test, Microsoft ha fornito ai soggetti un apposito cerchietto per monitorare l’attività cerebrale, la frequenza respiratoria, il movimento della testa, la frequenza cardiaca e la temperatura cutanea durante la visualizzazione di tre spot pubblicitari della casa automobilistica Kia.

Neuromarketing-caso-studio
Neuromarketing-caso-studio. https://www.brainsigns.com

La ricerca ha rivelato che la maggior parte dell’attività cerebrale si era verificata mentre i soggetti guardavano la prima metà dell’annuncio. Tuttavia, con la visione della pubblicità in-game su Xbox Live, l’attività cerebrale aveva raggiunto il picco di fronte all’immagine ripetuta dell’auto, favorendo quindi la memorizzazione del messaggio. I risultati del test sono stati confermati anche dalle metriche tradizionali: l’annuncio in-game ha generato un tasso di memorizzazione del marchio del 90%, rispetto al 78% ottenuto dallo spot televisivo classico.

La crescente diffusione di istituti specializzati in neuromarketing sta rendendo più accessibile questa metodologia di ricerca, un tempo riservata ai grandi brand. Alcune piccole e medie imprese hanno già utilizzato questi strumenti per valutare l’efficacia di un prodotto, un sito web o uno spot pubblicitario, evitando i costi e i rischi legati al lancio di campagne marketing inefficaci o all’introduzione di prodotti fallimentari.

Il futuro del neuromarketing va sicuramente in questa direzione: permettere a sempre più organizzazioni di testare in anticipo l’efficacia di prodotti e messaggi pubblicitari, grazie a un approccio multidisciplinare che integra le tecniche d’indagine tradizionali con strumenti tecnologici all’avanguardia.