L’ingegnere della carta e la sua geometria poetica

L’ingegnere della carta e la sua geometria poetica

Aida de Miguel Pubblicato il 11/11/2017

Matt Shlian (Connecticut,1980) è un ingegnere della carta. Anzi, un vero e proprio artista della carta. Il suo operato combina un’incredibile padronanza del materiale –la carta– alla precisione matematica del piano, per creare opere di ispirazione geometrica composte da tasselli di carta piegati e incollati. Le sue opere si basano fondamentalmente sulla tecnica del Kirigami, arte di origine giapponese che oltre a piegare (origami) si serve del taglio per lavorare la carta. Disciplina che l’artista inserisce nelle sue collaborazioni con gli scienziati dell’Università del Michigan, per la visualizzazione in formato cartaceo delle micro-piegature in progetti di nanotecnologia.

Le singolari opere di Shlian traggono ispirazione da fonti molto diverse: dalle fantasie delle ceramiche islamiche, passando per l’architettura, la musica o la biomimesi. I risultati sono ipnotiche superfici ritmiche e sculture cinetiche. Stupende rappresentazioni di fantasie geometriche che sembrano prendere vita grazie al sottile movimento della luce, che si riflette sui diversi piani dei poligoni che formano le opere. Una poetica delle forme che ci invita quasi ad accarezzare i vertici con la punta delle dita. Volumi delicati su cui perdere lo sguardo per ore, come si trattasse di una passeggiata leggiadra sulle nuvole.

Abbiamo intervistato Matt per vedere più da vicino il suo processo creativo e capire come l’ispirazione geometrica della sua espressione artistica lo abbia portato a questa stretta collaborazione con la scienza, un campo molte volte erroneamente ritenuto agli antipodi dell’arte. Matt Schlian ci mostra che scienza e arte sono in realtà frutto dello stesso principio: il costante interrogarsi.

La tua formazione viene dal campo più artistico delle arti e dei mestieri, ma ti presenti come ingegnere della carta. Ti senti più a tuo agio con un termine più tecnico che artistico per definire chi sei? Non sarebbe più opportuno definire il tuo lavoro come artista del Kirigami?

– In realtà non mi interessano le etichette. Kirigami è un termine specifico tanto quanto ingegnere. Un “ingegnere della carta” è colui che disegna card pop-up e arte cartacea mobile. Non sono stato io a inventare il termine. La mia è esperienza nel campo dell’ingegneria della carta. Sinceramente, sono soltanto un artista che usa la carta come metodo di comunicazione.

Le tue opere si basano principalmente su figure geometriche di ispirazione varia. Credi che siano queste caratteristiche ad averti portato a collaborare, in modo quasi naturale, con la scienza?

– Può darsi. La carta è un materiale dalle molteplici applicazioni. E quando lavori su scala micro e nano con materiali piani, lavorare con la carta su scala umana acquista un altro senso, e aiuta a capire.

Mi sembra interessante la tua frase: “Se vedo il risultato finale prima di iniziare, non ho ragione di procedere”… una dichiarazione che secondo me ti avvicina a un elevato livello di libertà, in un certo qual modo più filosofico che artistico. È la curiosità quel qualcosa che è sufficientemente forte per creare senza limitazioni, senza un progetto?

– Se ho capito bene la domanda, credo di sì. La curiosità è l’energia necessaria per la creazione. Non osservo una cosa specifica e ne faccio un pezzo. Il mio lavoro non è didattico. Non sto cercando di spiegare né presentare un’idea specifica con le mie opere. Inizio i miei progetti con una vaga idea di come finiranno. In corso d’opera, succede qualcosa – un errore, una nuova idea, un pensiero divergente… Cerco semplicemente di tenere gli occhi aperti mentre creo, lavorando con i materiali e non contro di essi. Se so già dove sto andando, tendo ad annoiarmi. Preferisco impegnarmi nel processo.

Nella tua relazione con la scienza, concepisci quest’ultima come una limitazione che porta la tua espressione a un altro livello?

– Credo che le limitazioni siano utili nella creazione artistica e che il nemico dell’arte sia piuttosto l’assenza di tali limitazioni. Non vedo assolutamente la scienza come una limitazione. Potrei limitare colore, forma o altro… ma l’ispirazione non si può né si deve limitare.

Le migliori opere, secondo me, si fanno quando si fondono le discipline, nello spazio nebuloso fra scienza e arte, fra architettura e ingegneria, ad esempio.

Il lavoro in studio nasce sulla base di un processo creativo diverso da quello delle collaborazioni con la scienza o ad esempio con le aziende?

– È ma al tempo stesso non è lo stesso processo. È alla base della mia sensibilità e della mia maniera di “ignorare” ciò che è già stato fatto. Quando lavori per un committente, c’è l’esigenza concreta del cliente e la necessità di soddisfare le sue aspettative influiscono sul tuo processo creativo. Tuttavia, ogni progetto – che sia vincolato alla ricerca scientifica o basato su aspetti prettamente estetici o sensoriali – ha il suo percorso e processo creativo unico. Come per il significato di un’opera, lo stesso vale con il metodo: non voglio ripetere lo stesso metodo continuamente. Evidentemente, seguo dei temi specifici e le varianti sono importanti ma in genere non approccio tutto nello stesso modo.

Oltre alla scienza, vorresti lavorare o collaborare con altre discipline artistiche come la moda, l’interior design, l’architettura, la gioielleria o il teatro, ad esempio?

– Sì. Mi piacerebbe progettare un edificio o disegnare una linea di abbigliamento. Sono sempre aperto a nuove collaborazioni quando se ne presenta l’occasione giusta, certo! Sono naturalmente curioso, e la possibilità di esplorare nuovi campi di espressione è sempre all’orizzonte.

A cosa stai lavorando al momento? Puoi rivelarci il tuo prossimo progetto?

– Questa è la mia agenda del mese: sto collaborando con il Tamarind Institute su un pezzo di 3.5m ad Albuquerque. E anche a una serie di copie in edizione limitata (https://tamarind.unm.edu). Ho in ballo tre grandi commissioni: una a Boston, una in Connecticut e una a Chicago. Oggi pomeriggio ultimerò un pezzo personalizzato da installare per Oculus. Sto anche trovando idee per un programma che partirà l’anno prossimo con KITH a New York.

Avremo occasione di vedere presto una mostra o i lavori di Matt Shlian qui in Europa?

– Forse. Non c’è niente di certo, ma di solito sono molto attivo sui social media… Instagram / Facebook / Twitter. Quindi non appena si concretizzerà qualcosa, sarete i primi a saperlo 😉

Matt Schlian, un universo di meticolose sovrapposizioni dall’organica e delicata sensibilità. Un giovane artista che non dovete perdere di vista, perché – a immagine e somiglianza delle sue opere– la sua è un’immaginazione senza fine!